La vulvodinia rientra tra i disturbi del dolore sessuale, si tratta infatti di una sensazione dolorosa non correlata a una causa specifica (allodinia), caratterizzata da sensazioni più intense del dovuto (iperestesia).
La vulvodinia interessa in particolare la mucosa vulvare e la sua diagnosi è complessa, poiché i dolori vulvari possono essere legati a varie patologie.
Approfondiamo l’argomento con la dottoressa Valentina Immediata, ginecologa in Humanitas.
Che cos’è la vulvodinia
Il dolore legato alla vulvodinia si presenta, nella maggioranza dei casi, durante l’atto sessuale, ma può manifestarsi anche spontaneamente, magari associato a qualche movimento, quando la paziente si siede o cammina. Questa sintomatologia dolorosa non è necessariamente solo provocata o solo spontanea: può infatti manifestarsi in entrambi i modi nella stessa paziente.
Purtroppo non si hanno ancora certezze sulla fisiopatologia della vulvodinia, ma l’ipotesi più accreditata è che questo disturbo sia correlato a un’eccessiva risposta dei mastociti a uno stimolo infiammatorio. Questa risposta abnorme provoca un’attività maggiore e proliferazione delle fibre nervose che trasmettono l’impulso del dolore con estensione alla parte più superficiale della cute, causando una sensazione dolorosa più alta del dovuto. La sintomatologia, dunque, permane anche quando lo stimolo si è ormai risolto, rendendo necessario un trattamento medico.
La diagnosi di vulvodinia: che esami fare?
La diagnosi per la vulvodinia è di tipo differenziale. I dolori vulvari si possono associare infatti a varie patologie, per esempio infezioni o problemi neurologici e quindi, in sede di diagnosi, lo specialista deve innanzitutto escludere altri disturbi. In particolare la vulvodinia va distinta dal vaginismo, una condizione strettamente legata al momento coitale e che provoca un’eccessiva contrazione della muscolatura del pavimento pelvico, in particolare dei muscoli vaginali. Questo disturbo può essere confuso con la vulvodinia sia per via del dolore correlato al rapporto sessuale sia perché a una situazione di vulvodinia può subentrare anche il vaginismo reattivo e le due patologie possono sovrapporsi.
In fase diagnostica la paziente deve descrivere la tipologia di dolore percepito, se è generalizzato o localizzato in un solo punto, a livello clitorideo, per esempio, a livello vestibolare, o su tutta la vulva, e se si tratta di un dolore spontaneo o provocato, dunque se si manifesta solo in associazione al rapporto sessuale o anche in altre situazioni quotidiane.
Dopo aver ascoltato la paziente, lo specialista effettuerà il Q-tip test, un esame che prevede l’utilizzo di un apposito cotton-fioc, con il quale vengono toccati alcuni punti specifici della vulva. Se la paziente manifesta dolore al tocco, molto probabilmente è interessata da vulvodinia, al contrario, se la paziente non avverte dolore potrebbe trattarsi di una differente patologia.
Come si cura la vulvodinia?
La vulvodinia non si risolve naturalmente ed è una patologia che compromette sensibilmente la qualità della vita della paziente, in particolare per quanto riguarda la sfera di coppia e sessuale.
Il trattamento della vulvodinia prevede infatti la presa in carico della paziente da parte di un team multidisciplinare di specialisti, tra cui un ginecologo specializzato in disturbi del dolore sessuale e uno psicoterapeuta che possa aiutare la paziente ad affrontare il vissuto psicologico legato a questa condizione.
Le terapie farmacologiche per la vulvodinia comprendono l’utilizzo di anestetici locali, di antidepressivi triciclici, come la amitriptilina, da utilizzare a livello locale e che permettono un’azione specifica di modulazione della sensazione dolorosa. Lo specialista può anche ritenere necessarie delle infiltrazioni di anestetici o antinfiammatori e altri trattamenti specifici per l’educazione del pavimento pelvico.
Il trattamento per la vulvodinia deve essere quindi multidisciplinare e personalizzato in base ai disturbi manifestati dalla paziente e alla sua specifica condizione clinica.
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