La gente li immagina così: belli, coraggiosi, di corsa. Per il popolo della televisione sono come gli attori di E.R.. I George Clooney all’italiana. Sono i medici di Medicina di Urgenza e il personale paramedico del Pronto Soccorso. Uomini e donne che si impegnano ogni giorno per soccorrere gli altri nei momenti più dolorosi ed imprevisti del loro destino. Un personale altamente qualificato, continuamente aggiornato, in grado di risolvere in maniera tempestiva ed efficace le problematiche che si presentano.
Non c’è spazio per la tranquillità, in Pronto Soccorso si è sempre in allerta. Ogni secondo è prezioso per poter salvare una vita, non si deve perdere tempo. L’abilità del personale operativo è riuscire ad affrontare con sangue freddo, intelligenza e capacità tecniche sia le banalità sia le situazioni più drammatiche.
Per questi motivi ai medici, agli infermieri e a tutti gli operatori che lavorano in pronto soccorso è richiesto un impegno notevole: reperibilità, turni di notte, elasticità, multidisciplinarietà. Ma soprattutto sono fondamentali carattere, sensibilità, umanità.
Eppure, almeno in Italia, questi “angeli” dell’ospedale non sono così riconosciuti e stimati dai pazienti come dovrebbero essere. Spesso del Pronto Soccorso si ricordano le file interminabili, le lunghe attese. Ne parliamo con il dott. Stefano Ottolini, responsabile del Pronto Soccorso dell’Istituto Clinico Humanitas.
Quali sono stati i motivi per cui ha deciso di svolgere la professione di medico di medicina d’urgenza? E’ stato un caso o lo ha sempre sognato?
“ Fin da piccolo sognavo di diventare un medico, mi ispiravo ai telefilm degli anni ’60 e ‘70. Ho svolto diverse attività: medico di medicina generale, guardia medica, organizzatore dell’assistenza domiciliare e gestore di procedure operative nel settore dell’urgenza ed emergenza. La scelta di dedicarmi alla medicina d’urgenza all’interno del Pronto Soccorso di Humanitas è stata decisiva per appassionarmi sempre di più a questo lavoro. Peccato che in Italia, al contrario di altri paesi d’Europa, non esista ancora la specialità in Medicina d’Urgenza”.
Quali sono gli aspetti positivi del suo lavoro?
“Tutti… o quasi! Si ricevono tantissime soddisfazioni. In questo lavoro si è sempre in prima linea: si prende l’onda che arriva, ma il massimo della gratificazione è il sorriso di un paziente che viene dimesso guarito”.
E quali sono gli aspetti negativi?
“Molto spesso al Pronto Soccorso si rivolgono pazienti con problematiche risolvibili in ambulatorio o dai medici di famiglia. Questo sovraffollamento rende più difficile dedicarsi nei modi e nei tempi adeguati ai casi più gravi”.
Consiglierebbe ad un giovane medico di intraprendere la stessa carriera?
“Se ha voglia di lavorare molto, sì! Qui nulla è scontato. E’ un lavoro diverso rispetto a quello della degenza. Vige quasi sempre il meccanismo del tutto o nulla: da momenti di semi-tranquillità si passa rapidamente a situazioni in cui arrivano più urgenze contemporaneamente. In questi casi le Leggi di Murphy sono implacabili: più problemi ci sono e più se ne sommano… Inoltre, questo lavoro ti porta a sacrificare molti aspetti della vita privata e familiare. Si è coinvolti 24 ore al giorno. Il Pronto Soccorso ti ‘entra dentro’ e tu entri in esso, e anche i familiari e chi ti sta attorno è ‘liberamente costretto’ ad accettare questa situazione”. Non è sempre facile ed agevole”.
Lei entra spesso in contatto con il dolore e la sofferenza dei suoi pazienti. Ha imparato a convivere con questi avvenimenti costruendosi una “corazza”?
“La corazza è necessario costruirsela. Le sofferenze degli altri ti colpiscono profondamente e ti lasciano delle cicatrici; è necessario formare un piccolo callo sul cuore e sull’anima. Il dolore davanti ad un paziente che soffre, diventa uno stimolo per migliorare il proprio operato. Per impegnarsi sempre al massimo. La corazza ci deve essere, ma non deve diventare del tutto impenetrabile: siamo e dobbiamo rimanere esseri umani”.
C’è un episodio degno di nota della sua carriera lavorativa in Pronto Soccorso?
“Tutti i giorni sono degni di nota. Le gioie ed i dolori dell’équipe sono sempre unici ed importanti”.
Di Claudia Rossi*
*Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del corso “Metodi e tecniche della comunicazione nell’area salute”, organizzato dall’Università di Milano – Facoltà di Farmacia.
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