Le mamme che vedono i propri bebè muovere i primi passi hanno molti dubbi, ma spesso i presunti difetti dei piccoli sono normali fasi dello sviluppo.
Piedini a papera, scarpe con il rinforzo al tallone oppure no, gambe a X (valghe) o, al contrario, “da fantino” (vare). Sono tanti i dubbi e timori delle neo-mamme che vedono iniziare a camminare il proprio piccolo. Ma molti di questi “presunti difetti”, in realtà, non lo sono e fanno parte dello sviluppo fisiologico di ogni bambino, sparendo con la crescita senza bisogno di cure. Le mamme, però, non lo sanno. E si preoccupano. Potrebbero, invece, essere facilmente rassicurate fin dall’esecuzione dell’ecografia all’anca del neonato (da effettuare entro i suoi tre mesi di vita). In questa sede, infatti, una valutazione ortopedica completa del neonato permette di rasserenare le mamme da una parte e di diagnosticare in fase precoce eventuali patologie dall’altra. Tutto questo a patto che venga svolta da un ortopedico. E che venga eseguita relativamente presto. Una sfilza, quindi, di luoghi comuni da sfatare. Ne parliamo con il professor Nicola Portinaro, responsabile dell’Unità Operativa Ortopedia Pediatrica di Humanitas, professore presso l’Università degli Studi di Milano e coordinatore scientifico didattico dell’area ortopedica presso l’Istituto Clinico Humanitas.
Professor Portinaro, c’è confusione riguardo ai termini dell’ecografia all’anca del neonato?
“L’ecografia all’anca è fondamentale per diagnosticare e curare precocemente una alterazione dell’articolazione coxofemorale che porta a una artrosi precoce dell’anca in alcuni casi o, addirittura, ad una lussazione dell’articolazione anche nei neonati e bambini piccoli con il risultato di una evoluzione in un difetto nella camminata. Ma riguardo alla necessità di eseguire l’ecografia delle anche e al momento in cui debba essere svolta effettivamente c’è ancora molta confusione. Ci si chiede, infatti, fondamentalmente, perché non sia obbligatoria se è davvero così importante. Una risposta viene direttamente dall’Accademia Americana di Pediatria, che ritiene l’ecografia un esame costoso e che, dato che la displasia dell’anca non è così diffusa, sia ‘più conveniente’ curare chi ne soffre piuttosto che eseguire questo esame come screening a tutti i neonati. Ma, in realtà, non è così. L’altro luogo comune riguarda, poi, il limite dei tre mesi. Troppo spesso si ritiene di dover aspettare questo termine per poterla eseguire. E, invece, si deve sapere che la displasia dell’anca, così come altre alterazioni (quali il piede torto, eccetera), si può diagnosticare fin dai primi giorni di vita. Il limite inferiore, quindi, non esiste, mentre il limite superiore (non oltre i tre mesi) è perentorio. L’ecografia, infatti, si può sempre eseguire fino a che il processo di ossificazione della testa femorale non permette di individuare più i punti fondamentali per la diagnosi ecografica. E, ovviamente, tanto più precoce è la diagnosi, tanto più breve il trattamento e tanto più elevata è la potenzialità di guarigione senza reliquati”.
E, inoltre, durante l’ecografia all’anca è consigliabile, in realtà, eseguire una valutazione globale del neonato?
“Sì, ma si deve partire da un presupposto fondamentale che fortunatamente sta prendendo piede in Italia e cioè che l’ecografia all’anca deve essere eseguita da un ortopedico che è, allo stesso tempo, in grado di valutare l’intero apparato muscolo-scheletrico del piccolo paziente effettuando una sorta di ‘tagliando del neonato’ dalla testa ai piedi senza limitarsi all’anca. L’esame clinico accurato permette di osservare altre alterazioni che in alcuni casi sono solo posizionali, legate, quindi, alla posizione del neonato nell’utero (per esempio, i piedini intraruotati/tali/addotti, eccetera) rassicurando, così, la mamma della benignità della solo apparente anomalia e della sicura risoluzione spontanea con il tempo. In altri casi, invece, le deformità sono patologiche, per cui una diagnosi precoce permette di trattarle per tempo”.
Ma piedi a papera, ginocchia a X, eccetera sono evoluzioni fisiologiche del bambino?
“Sì in linea generale. Quando il bambino inizia a camminare si noteranno i piedi piatti e le ginocchia in fuori (‘a fantino’ – ginocchio varo) che, verso i due-tre anni, diventeranno a X (ginocchio valgo). Intorno, poi, ai cinque anni, le ginocchia si raddrizzeranno per assumere la forma definitiva dell’adulto. Anche il piede piatto del bambino è quasi sempre normale. Durante lo sviluppo la sua conformazione cambierà fino a divenire quella definitiva intorno ai 10-12 anni. Queste modificazioni degli arti fanno parte dello sviluppo fisiologico. Sono ‘alterazioni non alterazioni’. Inutile, quindi, andare in ansia anche se è sempre importante escludere che vi sia una vera e propria patologia”.
Un altro luogo comune: a piedi nudi o con scarpe “rinforzate”?
“Un bambino che inizia a camminare sta sviluppando la sensibilità del piede a riconoscere il terreno per imparare a mantenere l’equilibrio su differenti superfici. La deambulazione a piedi nudi o con le calze antiscivolo su terreni lisci stimola il piede, anche se solo in un piano dello spazio. L’ideale, quindi, quando possibile, sarebbe di far camminare il piccolo su terreni sconnessi come la sabbia per stimolare il piede in modo completo. Per l’esterno consiglio semplicemente le scarpine con una suola rigida. Ma capisco che con l’estate la scelta sia difficoltosa. E, comunque, mi sento nuovamente di tranquilizzare le mamme: il piede non muta. Se deve maturare lo fa da sé con o senza l’intervento di scarpe particolari, esercizi ad hoc o altro. Se non c’è una patologia diagnosticata, quindi, non servono scarpe particolari. Per quanto riguarda, infine, il discorso delle calzature già utilizzate da fratelli o sorelle, è meglio evitare il passaggio perché ogni piede ha una sua storia e deve poter vivere la sua scarpa, non indossarne una che ha già una sua forma e vita”.
A cura di Lucrezia Zaccaria
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