Situato nella parte alta dell’addome, al di sotto del diaframma, il fegato è un organo vitale: costituisce per il nostro organismo una sorta di “laboratorio chimico”. Ha infatti una duplice funzione: da una parte disintossicante, poiché rende inattive le sostanze nocive, dall’altra di produzione di sostanze indispensabili per l’organismo, come l’albumina e la bile. Compito principale del fegato è estrarre dal sangue le sostanze introdotte con gli alimenti e provvedere alla loro elaborazione, per garantire le necessità funzionali dell’intero organismo.
Le particolarità dell’epatocarcinoma
Il carcinoma del fegato è uno dei tumori maligni più diffusi, il quinto a livello mondiale, con una prevalenza diversa a seconda delle aree geografiche: l’Asia, ad esempio, è il continente con la maggiore incidenza in assoluto. In Italia, il carcinoma epatico colpisce prevalentemente gli uomini, con un rapporto di 1:3 rispetto alle donne, per lo più nella sesta decade di vita (fra i 60 e i 70 anni).
“L’aumento di incidenza riscontrato negli ultimi anni – spiega il dott. Maurizio Tommasini, responsabile dell’Unità Operativa di Medicina Generale ed Epatologia di Humanitas, responsabile dell’Unità Operativa di Medicina Generale ed Epatologia di Humanitas – è essenzialmente dovuto a due fattori: la migliore capacità diagnostica, grazie allo sviluppo di tecniche come TAC, Risonanza Magnetica ed ecografia, e l’aumento della sopravvivenza dei pazienti affetti da cirrosi, malattia ad andamento lento e progressivo causata per lo più da infezioni virali croniche (virus C e B dell’epatite), da abuso di alcolici, sovrappeso, difetti genetici o del sistema immunitario. Molto spesso i pazienti presentano più di uno di questi fattori, ma comunque è la cirrosi il principale fattore di rischio: l’80-90% degli epatocarcinomi, infatti, si sviluppa in un fegato cirrotico. Pertanto, la sopravvivenza dei pazienti affetti da questa neoplasia, che molto spesso inizia come singola lesione ed ha un’evoluzione lenta nel tempo, è condizionata dall’andamento della cirrosi. Lo stato funzionale del fegato e la sua corretta valutazione rappresentano, insieme all’estensione della malattia, il punto critico per la scelta della terapia più appropriata.
Data l’associazione dell’epatocarcinoma con la malattia cronica di fegato, appare fondamentale per una diagnosi precoce il follow-up clinico dei pazienti affetti da cirrosi o da infezione cronica da HBV, con ecografia ed esami di laboratorio ripetuti ogni sei mesi”.
I possibili trattamenti
Nel caso dei tumori maligni epatici è indispensabile l’approccio multidisciplinare. “Il tipo di trattamento da effettuare – afferma il prof. Leandro Gennari, responsabile del Dipartimento di Chirurgia di Humanitas – deve emergere da una comune valutazione da parte di tutti gli specialisti coinvolti nel processo di cura: l’epatologo, il chirurgo, il radiologo e l’oncologo medico. Solo un consulto plurispecialistico, infatti, consente realmente di scegliere, fra le tante terapie disponibili, quella migliore per ogni singolo caso.
Trapianto, resezione chirurgica, terapie ablative loco-regionali, embolizzazione o chemoembolizzazione e terapia farmacologia sono le alternative possibili, a seconda delle condizioni generali del paziente, dell’età e dello stato funzionale del fegato”.
A livello chirurgico il trapianto di fegato è possibile solo in casi selezionati: in genere, in pazienti cirrotici di non oltre 50-60 anni di età, con un tumore unico di 5 centimetri di diametro o con un tumore multiplo di dimensioni inferiori a 3 centimetri e cattivo stato funzionale del fegato.
La resezione è invece molto più praticabile, anche se i risultati migliori si ottengono nei pazienti con stato cirrotico non avanzato ed un tumore le cui dimensioni non impongono una demolizione molto ampia del fegato. Il rischio, comunque, intervenendo su un organo colpito da malattia cronica, è che possano nascere altri focolai in tempi diversi.
Nei pazienti che non possono essere sottoposti a resezione chirurgica è possibile utilizzare le terapie ablative loco-regionali che hanno il vantaggio di determinare la distruzione della sola massa tumorale risparmiando il tessuto circostante. Si tratta della termo e della crioablazione, che prevedono la distruzione del nodulo tumorale attraverso il riscaldamento o il congelamento, e dell’alcoolizzazione (PEI), mediante la quale sotto guida ecografica si inietta alcool direttamente nel nodulo attraverso una puntura transcutanea.
Le tecniche di embolizzazione e chemioembolizzazione prevedono invece la chiusura temporanea di un ramo dell’arteria epatica, così da ‘affamare’ il tumore, e contemporaneamente la somministrazione di un farmaco antitumorale. Molto spesso, in fasi successive i pazienti si giovano del trattamento combinato di due o più di queste metodiche.
La prevenzione dell’epatocarcinoma
Data l’associazione ormai provata fra epatocarcinoma e malattia cronica del fegato, oltre che di diagnosi precoce, ha senso parlare di prevenzione intesa come:
– correzione delle cause: ove possibile, ad esempio in caso di cirrosi derivata dall’abuso di alcolici
– vaccinazione contro i virus dell’epatite
– cura della malattia cronica, per tenerne sotto controllo la progressione
Gli altri tumori epatici
Oltre all’epatocarcinoma, il fegato può essere sede di colangiocarcinoma e metastasi tumorali.
“Il colangiocarcinoma, tumore maligno primitivo – spiega il professor Gennari – prende origine dalle vie biliari intra ed extraepatiche. Viene per lo più trattato chirurgicamente, con un intervento di resezione epatica, se tecnicamente possibile, cui può aggiungersi una chemioterapia pre o postoperatoria.
Diverso è il caso delle metastasi di tumori presenti o già operati in altri organi, quali il colon, lo stomaco, il polmone. Nella maggioranza dei casi, le metastasi al fegato richiedono un trattamento medico che consiste nella somministrazione di farmaci antineoplastici; solo nel 10-20% dei casi è possibile utilizzare metodi chirurgici, con ottimi risultati. Oggi è anche possibile procedere alla resezione chirurgica dopo un trattamento chiemioterapico, che in alcuni casi determina una cospicua regressione sia del volume sia del numero delle metastasi”.
Una neoplasia epatica, sia primitiva sia secondaria, può dunque presentarsi in modi e situazioni differenti. “Perciò – conclude il professor Gennari – solo una valutazione polidisciplinare del singolo caso può offrire al paziente le maggiori probabilità di guarigione. Questa non è una semplice constatazione, ma un impegno ed una regola che l’Istituto Clinico Humanitas si è posto”.
In Humanitas alla diagnosi e cura delle malattie del fegato collaborano diverse Unità Operative, che congiuntamente hanno realizzato un opuscolo informativo per i pazienti: Medicina Generale ed Epatologia (diretta dal dott. Maurizio Tommasini), Dipartimento di Chirurgia (diretto dal prof. Leandro Gennari), Chirurgia Generale ad Orientamento Oncologico, Chirurgia Generale e Mini-Invasiva, Chirurgia Generale III (diretta dal prof. Marco Montorsi).
Di Monica Florianello
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