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Un nuovo farmaco per la leucemia mieloide cronica

Secondo il rapporto presentato al meeting dell’ASCO, i primi diciotto mesi di sperimentazione del Bosutinib, un inibitore di tirosin chinasi di terza generazione, hanno rispettato le aspettative.

Gli ultimi risultati di uno studio svolto in Italia, presentato al recente meeting annuale dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), hanno confermato l’efficacia dell’agente sperimentale Bosutinib nel trattamento della leucemia mieloide cronica. Dopo 18 mesi di sperimentazione, il farmaco ha dimostrato una maggiore efficacia e rapidità nella risposta molecolare rispetto alla terapia standard con Imatinib, l’inibitore di tirosin chinasi di prima generazione che, a partire dalla metà degli anni Novanta, ha rivoluzionato la cura di questa malattia.
Prima dell’introduzione di questo genere di molecole, infatti, l’unica cura possibile era il trapianto allogenico, che adesso viene utilizzato come “ultima ratio” per i pazienti che non rispondono a nessuna delle terapie di prima linea (le terapie che vengono adottate come standard subito dopo la diagnosi), costituite proprio dai differenti inibitori di tirosin chinasi. Abbiamo parlato dell’argomento con la dottoressa Antonella Anastasìa, ematologa di Humanitas Cancer Center.

Dottoressa, quali saranno i vantaggi che il Bosutinib porterà ai pazienti?
“Nonostante la leucemia mieloide cronica sia una patologia piuttosto rara, fin dagli anni novanta disponiamo di una target therapy proprio grazie all’introduzione di questa classe di farmaci biologici. Il Bosutinib ne rappresenta la terza generazione e sembra che rispetti le aspettative. Il punto è che una delle criticità per i pazienti cui viene diagnosticata la leucemia mieloide cronica sono i tempi di risposta alla terapia. In sostanza, una risposta rapida comporta una minore debilitazione dell’organismo e quindi maggiori possibilità di sopravvivenza; inoltre, diminuisce considerevolmente la possibilità che la patologia, attraverso la mutazione, impari a “resistere” alla terapia e restringe i tempi per decidere di cambiare la strategia di cura nel caso la terapia farmacologica non funzioni a dovere. Gli inibitori di tirosin chinasi di seconda generazione mirano soprattutto al miglioramento della risposta ed al contenimento degli effetti collaterali, tanto che il Nilotinib è stato autorizzato come farmaco di prima linea proprio per questo motivo; il Bosutinib, a quanto pare, è stato pensato per offrire soprattutto rapidità ed efficacia. Siamo però ancora lontani dalla sua applicazione clinica; Dasatinib e Nilotinib hanno invece già raggiunto risultati eccellenti”.

Questi progressi costituiscono un traguardo nella cura della leucemia mieloide cronica?
“Sono stati sicuramente fatti dei passi avanti ma il traguardo, almeno nel medio periodo, è ancora piuttosto lontano. I pazienti che sono curati nei centri che offrono buoni standard terapici per questa patologia, grazie all’esperienza di un’ampia casistica, riescono ad ottenere un’eccellente gestione dell’andamento della malattia e degli effetti collaterali della terapia ma, allo stato attuale delle cose, i casi nei quali si riesce ad ottenere una guarigione definitiva e quindi una sospensione di ogni terapia sono rari e si hanno solo nei pazienti allotrapiantati. Fino ad ora si è lavorato per arginare i danni provocati dalla malattia e salvare un numero sempre maggiore di pazienti, arrivando a far scendere la mortalità fino a circa il 2% su base annua. Farmaci di seconda generazione come Dasatinib hanno permesso di ottenere risultati efficaci anche nei pazienti che non rispondevano più all’Imatinib. L’obbiettivo a medio termine dovrebbe essere arrivare a trovare una molecola che riesca a debellare la patologia in maniera definitiva anziché cronicizzarla”.

A cura della Redazione

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