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Tumori del fegato: in Humanitas l’eccellenza tecnica che ha rivoluzionato la chirurgia

I tumori del fegato sebbene di origini differenti sono comunque il frutto di una crescita incontrollata di una popolazione cellulare “malata” del fegato stesso (tumori primitivi) o proveniente da altre sedi (tumori secondari o metastasi); queste cellule se lasciate a sé portano al malfunzionamento del fegato.

Il fegato dall’aspetto esteriore liscio e compatto è in realtà un organo estremamente complesso sia da un punto di vista funzionale e metabolico (il fegato è il vero e proprio laboratorio chimico del nostro organismo) sia anatomico (il fegato ha tre reti vascolari e una di deflusso della bile che si intersecano tra loro al suo interno).

I due principali tumori epatici nati e cresciuti nel fegato sono l’epatocarcinoma e il colangiocarcinoma; tra quelli invece che giungono da altre sedi, senza dubbio a oggi le metastasi da tumori del colon sono le più frequenti.

La chirurgia gioca un ruolo centrale nel trattamento dei tumori del fegato costituendo generalmente l’elemento essenziale in un progetto terapeutico che ambisca alla guarigione del paziente. L’aspetto cruciale affinché questa possa avere successo, risiede nel compendiare la necessità di pulire il fegato dalla malattia e di avere al termine un organo che continui a funzionare. Se oggi, al mondo, esistono procedure che permettono di preservare il fegato quanto più possibile è anche grazie al lavoro del professor Guido Torzilli, Direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale e della Divisione di Chirurgia Epatobiliare in Humanitas, e della sua equipe.

La rivoluzione della chirurgia tradizionale

Il fegato ha una preziosa peculiarità che è quella di rigenerare. In caso ne venga asportata una parte, la porzione rimanente si ingrossa. Per chiarire meglio non si riforma la parte asportata, così come non si ricostituiscono i vasi amputati, bensì si “gonfia” la parte di fegato che è rimasta. Laddove però la parte asportata risulti eccessiva, il fegato residuo non riesce a garantire pur ingrossandosi il funzionamento corretto dell’organo, conducendo il paziente in un quadro di insufficienza epatica. Ciò ovviamente rappresenta un limite importante alla possibilità di operare un paziente affetto da tumore al fegato dovendo compendiare le due esigenze: “pulire” il fegato ma lasciarne a sufficienza.

La chirurgia tradizionale prevede relativamente poche vie di divisione per evitare al chirurgo di perdersi nella complessità anatomica dell’organo. Per questa ragione si prevede l’asportazione della porzione di fegato occupata dal tumore o dai tumori, insieme a una parte cospicua di tessuto sano. In circostanze particolarmente complesse che mal tollererebbero l’amputazione di troppo fegato, si ricorre a due interventi volti a pulire il primo la porzione sinistra e il secondo quella destra.

Il prof. Torzilli e la sua équipe in Humanitas hanno per primi nel mondo aperto la strada a un modo diverso di operare i pazienti affetti da tumore del fegato, massimizzando il risparmio del tessuto sano pur rimuovendo la malattia e arrivando così a rimuovere tumori altrimenti non operabili. Si assicura dunque la radicalità oncologica, ma non a prezzo di un eccessivo sacrificio di tessuto sano. In questo ci si allontana altresì dal rischio di insufficienza epatica postoperatoria: una modalità radicale, estendibile a condizioni altrimenti non operabili e sicura.

“Un cammino il nostro che sposta in avanti continuamente i criteri di operabilità e riclassifica il concetto di resezione epatica (ovvero l’asportazione parziale dell’organo). Una chirurgia basata sulla guida ecografica, il principio del distacco dei tumori dai vasi sanguigni intraepatici (la chirurgia di distacco), e lo “sfruttamento” dell’adattamento del fegato all’ospite indesiderato: il tumore”, spiega il prof. Torzilli.

Lo sviluppo della chirurgia di distacco

Uno dei filoni di ricerca clinica del professor Torzilli e della sua équipe ha riguardato i tumori a ridosso dei grossi vasi intraepatici: quei tumori che per la loro bonifica comunemente richiedono il sacrificio del vaso a contatto e quindi di tutto il tessuto che da quel vaso dipende per l’afflusso o il deflusso del sangue che lo attraversa e che ne garantisce la vitalità.  “In vent’anni di ricerca clinica abbiamo dimostrato che è possibile separare un tumore adiacente a un grosso vaso intraepatico senza esporre il paziente a un maggior rischio di recidiva rispetto a un soggetto operato rimuovendo il vaso e tutto il tessuto da esso dipendente. Questo approccio, permettendo la rimozione di tumori profondi e a contatto con i grossi vasi selettivamente e senza sacrifico di tessuto sano, ha aperto nuovi orizzonti nella chirurgia epatica, candidando all’intervento pazienti altrimenti non operabili e alzando così la possibilità di cura di questi pazienti”, prosegue lo specialista.

Adattamento del fegato al tumore

Il distacco del tumore dai vasi intraepatici tuttavia non è sempre possibile e quando ciò accade e si tratta delle vene attraverso le quali il sangue defluisce fuori dal fegato e dopo pochi centimetri entra nel cuore, il fegato stesso pone rimedio. Come? Il professor Torzilli e la sua èquipe dimostrarono nel 2010, primi al mondo, che in questi casi il fegato apre dei by-pass interni che deviano il sangue da una vena a quella adiacente permettendo al tessuto di funzionare anche laddove la vena a cui il tumore si è aggrappato dovesse chiudersi. Questi by-pass identificati e mappati con l’ecografia hanno permesso all’équipe di Humanitas di introdurre nuovi tipi di interventi che prevedono il sacrificio delle vene infiltrate dalla malattia senza tuttavia rimuovere tessuto sano.

Asportare i tumori al centro del fegato con il tunnel epatico

Grazie al concetto della chirurgia di distacco e dei by-pass naturali, numerosi sono stati gli interventi che sono nati in Humanitas per mano del professor Torzilli e della sua équipe e sono stati negli anni pubblicati sulle più prestigiose riviste scientifiche di settore. Il tunnel epatico è stato l’ultimo: descritto per la prima volta su Annals of Surgical Oncology nel 2014, Annals of Surgery agli inizi del 2019 riportava l’esperienza dei primi 20 pazienti operati con questa nuova procedura.

“Il tunnel epatico consente di asportare tumori che sono cresciuti al centro del fegato e che sono imprigionati dai vasi sanguigni che portano il sangue all’interno e all’esterno dell’organo. Creando un vero e proprio tunnel che attraversa il fegato dall’alto in basso, è possibile rimuovere il tumore lasciando l’organo pressoché integro e perfettamente funzionante: un intervento altamente complesso ma sicuro e che consente di rimuovere tumori che altrimenti richiederebbero ampie demolizioni oppure obbligherebbero alla non operabilità”, continua il prof. Torzilli.

Il primato nella ricerca scientifica e nella pratica clinica

Il professor Guido Torzilli e la sua équipe hanno rivoluzionato la chirurgia del fegato in termini di tecnica e di filosofia. Traguardi raggiunti a piccoli passi e attraverso il vaglio della comunità scientifica internazionale che ne ha verificato la validità permettendone la divulgazione attraverso le più importanti riviste scientifiche.

“Un lavoro di ricerca che si estrinseca nella pratica clinica quotidiana da vent’anni a tutela e cura dei nostri pazienti”, precisa il professor Torzilli. Un lavoro che ha posizionato questo gruppo tra i gruppi leader nella chirurgia epatica mondiale dove occupa un posto di particolare rilievo per l’originalità delle sue proposte innovative.

Più che tecnologia, c’è dedizione, sacrificio, rigore e qualche intuizione in più. L’ecografia è la madre di questo cammino avendoci guidato e portato lì dove ci sono i punti critici e aiutandoci a trovare le soluzioni innovative che oggi ci consentono di operare i nostri pazienti. Quell’ecografia che, non posso dimenticare, ho imparato a portare in sala operatoria dal mio Maestro giapponese che in questa chirurgia – posso davvero dire – mi ha messo al mondo. Grazie a lui, all’ecografia e a questi ultimi vent’anni di grande impegno, io e il mio gruppo possiamo oggi effettuare interventi altrimenti impensabili: interventi sofisticati e più sicuri perché meno demolitivi. Possiamo dire che cerchiamo di togliere meno (fegato sano) per togliere di più (il tumore, la malattia)”, ha concluso il prof Torzilli.

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