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I tumori al seno non sono tutti uguali: il referto istologico come carta di identità del tumore

Sebbene si parli comunemente di tumore al seno, è bene sottolineare che i tumori al seno non sono tutti uguali e che si distinguono tra loro per morfologia, biologia e anche per risposta alle terapie.

Sono diversi gli elementi che contribuiscono a caratterizzare ogni singolo carcinoma mammario; aspetti che da soli non sono sufficienti a definire una strategia terapeutica, ma che vanno considerati tutti insieme al fine di indirizzare la paziente verso la terapia più appropriata al suo caso.

Grazie al lavoro del patologo, che stila il referto istologico, è possibile costruire una vera e propria “carta di identità” di ogni singolo tumore. Con l’aiuto della dottoressa Bethania Fernandes, specialista di Anatomia patologica in Humanitas, capiamo insieme quali elementi vengono valutati in fase di diagnosi.

A cosa serve la “carta di identità” del tumore?

“Dai frammenti tissutali della paziente che analizziamo in laboratorio attraverso il microscopio, possiamo estrarre informazioni fondamentali per effettuare la diagnosi e stabilire poi la cura più appropriata per ogni paziente. Il nostro obiettivo è compilare una carta di identità del tumore così da conoscerne la biologia e il comportamento, fornire una precisa indicazione terapeutica e – laddove possibile – anche un’idea rispetto alla risposta del tumore alla terapia. La terapia sarà così mirata e individualizzata. La carta di identità ci permette di sapere chi è il tumore, come possiamo attaccarlo e come dobbiamo proteggerci”, spiega la dottoressa Fernandes.

Quali dati si trovano nel referto istologico?

“Per prima cosa valutiamo se il tessuto che osserviamo è sano oppure tumorale. Accertata la presenza del tumore mammario, valutiamo se sia ancora limitato a un dotto (in situ) e dunque senza potenziale di infiltrazione a organi e tessuti circostanti, oppure se si tratti di un tumore infiltrante ovvero invasivo dei tessuti. Questa distinzione è fondamentale perché cambia completamente la terapia.

Procediamo poi a dare un nome al tumore, a seconda del tipo di cellule da cui prende origine. Distinguiamo, per esempio, il carcinoma duttale in situ, il carcinoma lobulare in situ, il carcinoma infiltrante non speciale (duttale) e il carcinoma lobulare infiltrante.

Un’ulteriore valutazione morfologica consente di definire il grado istologico ovvero quanto le cellule tumorali si siano diversificate da quelle sane. Il grado viene indicato con un numero progressivo (Grado 1,2,3) e tanto più il numero è elevato, quanto più la malattia è aggressiva”, continua la patologa.

Stadio, dimensione ed estensione del tumore

“Misuriamo poi le dimensioni del tumore, in millimetri o in centimetri; un dato che consente di determinare la stadiazione tumorale ovvero quanto un tumore è grande e quanto si è diffuso nell’organismo. È bene precisare che maggiori dimensioni non si traducono necessariamente in maggior aggressività.

Un altro elemento importante, grazie alla collaborazione con l’équipe chirurgica, si ottiene valutando i margini chirurgici dei tessuti asportati durante l’intervento per verificare se la malattia interessa anche i margini di resezione chirurgica.

Osserviamo poi l’invasione vascolare dei tessuti (angioinvasione), un elemento che indica l’aggressività del tumore per via della presenza di cellule tumorali nei vasi sanguigni e linfatici. È un’ulteriore informazione che aiuta l’oncologo a scegliere la terapia più appropriata.

Valutiamo inoltre quanti linfonodi sono interessati dalla malattia: maggiore è il coinvolgimento, maggiore potrebbe essere l’aggressività del tumore”, specifica la dottoressa Fernandes.

I fattori genetici

“Per la definizione della terapia è inoltre fondamentale controllare lo stato recettoriale. I recettori sono proteine presenti sulla superficie delle cellule in grado di captare i segnali degli ormoni estrogeno e progesterone che inducono la proliferazione cellulare. In ogni tumore, attraverso l’uso di specifici anticorpi, valutiamo la presenza dei recettori e la loro quantità in percentuale. I tumori che presentano recettori per estrogeni e progesterone sono detti ormono-responsivi. Questo dato aiuta a valutare quanto un tumore sarà sensibile alla terapia ormonale.

Un altro fattore prognostico importante sono gli indici di crescita ovvero l’attività proliferativa della cellula (KI67) e il recettore HER2 (Human epidermal growth factor receptor 2). KI67 esprime la percentuale di cellule tumorali che hanno la potenzialità di duplicarsi. La soglia è 20%: oltre questo valore il tumore viene considerato proliferativo e di conseguenza più aggressivo; maggiore è la percentuale dunque, maggiore è l’aggressività.

HER2 è il gene responsabile della proliferazione cellulare e della riparazione della cellula in caso di danno. Nel tumore della mammella per via di un’alterazione genetica, HER2 si replica in modo infinito producendo tante proteine HER2 che comandano alle cellule di continuare a riprodursi”, continua la specialista.

Le quattro categorie di tumore al seno

“Di tutti i tumori al seno, il 65-75% è positivo per estrogeni e progesterone; il 15-20% è positivo all’HER2, mentre il 15% è triplo-negativo e dunque non presenta né recettori ormonali né recettori per HER2.

Distinguiamo 4 categorie di tumori al seno: i tumori Luminal A (ormonali), i tumori Luminal B (anch’essi ormonali ma con una proliferazione cellulare maggiore), i tumori HER2 positivi e i tumori Basal like triplo negativo. Ogni gruppo avrà una terapia diversa.

È fondamentale quindi comporre la carta di identità del tumore perché non esiste un tumore al seno uguale a un altro; ogni donna è diversa e anche ogni tumore lo è perché gli elementi che lo caratterizzano sono molteplici e concorrono tutti a definire la strategia di cura migliore per la singola paziente”, ha concluso la dottoressa Fernandes.

 

Il tema è stato affrontato dalla dottoressa Fernandes nel corso dell’edizione 2018 di Paziente diplomata; per rivedere l’intero intervento della dottoressa clicca qui.

 

 

 

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