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Tumore al polmone con poche metastasi, un aiuto dalla radioterapia

I pazienti affetti da tumore al polmone con poche metastasi (soprattutto a surrene e ossa) sono casi piuttosto comuni; in genere vengono trattati con terapia farmacologica, tenendo conto della presenza di determinate mutazioni genetiche, che sebbene riesca spesso a ridurre il tumore, non è altrettanto efficace contro le metastasi.

Come spiega la professoressa Marta Scorsetti, Responsabile di Radioterapia e Radiochirurgia in Humanitas, la comunità scientifica si è interrogata sul ruolo che la radioterapia potrebbe giocare in questi casi e uno studio condotto da studiosi americani, pubblicato sulla rivista scientifica Lancet Oncology alla fine del 2016, ha fornito alcune interessanti risposte.

Lo studio

Sono stati arruolati circa cento pazienti affetti da adenocarcinoma polmonare in stadio IV, che presentavano al massimo tre sedi metastatiche, con l’obiettivo di dimostrare l’efficacia di una terapia innovativa.

Seguendo le linee guida internazionale, i pazienti sono stati sottoposti a una cura farmacologica mirata – in presenza di mutazioni dei geni EGFR o ALK – oppure a chemioterapia a base di platino, in assenza di mutazioni da poter aggredire con farmaci specifici.

I pazienti sono stati poi divisi tramite randomizzazione (attribuzione casuale gestita da un sistema informatico) in due possibili trattamenti: quello sperimentale, dopo quattro cicli di chemioterapia o almeno tre mesi di terapia mirata, prevedeva inoltre un trattamento locale (radioterapia o in alcuni casi chirurgia) contro tutte le lesioni residue. Il trattamento standard invece prevedeva la sola terapia medica seguita da controlli periodici.

Radioterapia e miglioramento della sopravvivenza

Sebbene i risultati pubblicati siano parziali perché riguardano circa una cinquantina di pazienti (metà sottoposti a terapia standard, metà trattati con la cura sperimentale), vanno oltre le migliori aspettative. “I malati sottoposti a radioterapia hanno avuto un netto miglioramento della sopravvivenza libera da progressione di malattia: in pratica ci sono voluti in media 12 mesi prima che il tumore riprendesse a crescere, contro soli 4 mesi del gruppo sottoposto a terapia standard. Inoltre un altro dato molto positivo emerso dallo studio è che i trattamenti locali sono stati molto ben tollerati e non c’è stato un aumento di tossicità rispetto ai malati che curati soltanto con i farmaci. Visti i risultati così decisamente a favore dell’associazione delle terapie locali alla terapia medica, lo studio è stato chiuso anticipatamente non essendo stato giudicato etico continuare a negare un trattamento radioterapico o chirurgico ai futuri pazienti che fossero stati randomizzati nel braccio della sola terapia farmacologica”, spiega la professoressa Scorsetti.

La sinergia tra terapie mediche e trattamenti locali

“Attendendo i risultati di sopravvivenza globale, che necessitano di un tempo di controllo più lungo, i risultati di questo studio sono già di per sé molto importanti e in grado di cambiare significativamente l’approccio terapeutico per i pazienti affetti da adenocarcinoma polmonare metastatico. La radioterapia e/o la chirurgia, tradizionalmente escluse in questo gruppo di pazienti, hanno invece dimostrato di poter giocare un ruolo importante e sinergico con le terapie mediche. Considerando che la prognosi di un adenocarcinoma polmonare metastatico è normalmente severa, questo studio permette di aggiungere un’arma in più che va a sommarsi a quelle già esistenti con un significativo miglioramento delle prospettive di vita dei pazienti”, conclude la professoressa Scorsetti.

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