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Trigliceridi alti: i sintomi e come abbassarli

I trigliceridi sono i grassi più semplici e abbondanti presenti nel corpo umano. Essi rappresentano un fondamentale deposito energetico, fornendo a parità di peso più del doppio dell’energia fornita da carboidrati e proteine. La maggior parte dei trigliceridi presenti nel sangue deriva dall’alimentazione, trovandosi in abbondanza in sia grassi animali e vegetali. Tuttavia, qualora si assumano zuccheri e proteine in eccesso, il fegato è in grado di convertire questi macronutrienti in trigliceridi endogeni che possano poi essere depositati come riserva energetica. Questi lipidi vengono trasportati nel sangue principalmente attraverso le lipoproteine, quali i chilomicroni e le VLDL (Very Low Density Lipoprotein), e si accumulano nel tessuto adiposo, dove vengono immagazzinati come grasso, principale riserva energetica dell’organismo e barriera protettiva contro la dispersione di calore in condizioni di basse temperature. 

Tuttavia, un eccesso di trigliceridi nel sangue, noto come ipertrigliceridemia, può portare a conseguenze negative per la salute, in quanto associato a malattie cardiovascolari, oltre che del fegato e del pancreas. 

Quali sono i sintomi dell’ipertrigliceridemia e cosa fare in caso di trigliceridi alti? Ne parliamo con il dottor Davide Romagnolo, cardiologo presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e presso i centri medici Humanitas Medical Care.

Trigliceridi: i valori

I livelli di trigliceridi nel sangue sono classificati in questo modo: 

Persone adulte

  • Valore desiderabile: inferiore a 150 mg/dl (1,7 mmol/L).
  • Valore ai limiti della norma: compreso tra 150 e 199 mg/dl (1,7-2,2 mmol/L).
  • Valore elevato: compreso tra 200 e 499 mg/dl (2,3-5,6 mmol/L).
  • Valore molto elevato: superiore a 500 mg/dl (5,6 mmol/L). 

Persone sotto i 18 anni di età

  • Valore desiderabile: inferiore a 90 mg/dl (1,02 mmol/L).
  • Valore ai limiti della norma: compreso tra 90-129 mg/dl (1,02-1,46 mmol/L).
  • Valore elevato: uguale o superiore a 130 mg/dl (1,47 mmol/L). 

Trigliceridi alti, le cause

Le ipertrigliceridemie possono dividersi in familiari e non familiari. Le forme familiari di ipertrigliceridemia sono relativamente rare, e derivano da mutazioni genetiche che alterano il metabolismo dei grassi. Più frequentemente, le ipertrigliceridemie sono secondarie a un’alimentazione scorretta e a uno stile di vita sedentario, spesso associati a un substrato genetico favorente.

Non tutti i grassi assunti con la dieta hanno gli stessi effetti sull’omeostasi lipidica. In particolare, i grassi saturi, presenti in abbondanza in carni rosse, burro, margarina, formaggi e insaccati, causano l’incremento dei trigliceridi, del colesterolo “cattivo” LDL e la riduzione del colesterolo “buono” HDL. Al contrario, i grassi polinsaturi (presenti in pesce e oli vegetali non tropicali) e monoinsaturi (presenti nell’olio d’oliva, mandorle e noci), consumati con moderazione, hanno un effetto benefico, contribuendo alla riduzione del livello di trigliceridi e colesterolo LDL nel sangue. 

Trigliceridi alti, quando preoccuparsi

Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato un’associazione significativa tra elevati livelli di trigliceridi e il rischio di sviluppare depositi (“placche”) di colesterolo nelle pareti dei vasi sanguigni, un processo noto come aterosclerosi. La formazione, infiammazione e rottura di queste placche provoca gravi malattie cardio-cerebro-vascolari come l’infarto del miocardio, l’arteriopatia periferica e l’ictus ischemico. Sebbene gli elevati livelli di trigliceridi non causino direttamente l’aterosclerosi, essi favoriscono l’infiammazione dei vasi arteriosi, rendendoli così più suscettibili alle infiltrazioni di colesterolo e alla rottura delle placche aterosclerotiche. Inoltre, i trigliceridi in eccesso, depositandosi nel fegato e nel grasso addominale, determinano la steatosi epatica (il “fegato grasso”) e l’obesità viscerale. Queste condizioni favoriscono l’innesco della sindrome metabolica, un complesso di squilibri endocrino-metabolici che si associa allo sviluppo di diabete, ipertensione, aterosclerosi e insufficienza cardiaca, impattando negativamente sulla salute cardiovascolare.  Infine, valori molto elevati di trigliceridi (superiori a 1000 mg/dl o 11,30 mmol/L), talora riscontrati nelle forme familiari di dislipidemia, possono essere causa di pancreatite acuta sia negli adulti che nei bambini. 

Trigliceridi alti: quali esami fare?

L’analisi della trigliceridemia è comunemente prescritta dal medico nell’ambito del pannello lipidico completo, assieme al dosaggio del colesterolo totale, colesterolo LDL e colesterolo HDL, al fine di determinare il rischio cardiovascolare complessivo del paziente e valutare l’effetto di eventuali trattamenti. L’esame si effettua su di un campione di sangue prelevato da una vena del braccio. È necessario presentarsi al prelievo dopo un digiuno di almeno 12 ore, seguendo un pasto leggero, poiché un elevato apporto calorico può far aumentare i livelli di trigliceridi. È anche consigliato evitare il consumo di alcol nelle 24 ore precedenti l’esame e astenersi dal fumo o dall’attività fisica nelle due ore prima del prelievo di sangue. 

Trigliceridi alti: quali terapie?

Il trattamento dell’ipertrigliceridemia richiede anzitutto una scrupolosa valutazione da parte del cardiologo. Infatti, la contestuale presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare, la concomitante ipercolesterolemia o alterazioni dell’omeostasi glucidica possono influire significativamente sulla strategia terapeutica da adottare.

La terapia più semplice, sicura, e spesso più efficace, è rappresentata dai cambiamenti dello stile di vita e delle abitudini alimentari. Una dieta equilibrata, che prediliga il consumo di grassi insaturi, frutta e verdura, associata a una regolare attività fisica di tipo aerobico, è in grado di incidere notevolmente sui livelli di trigliceridi, risultando spesso da sola sufficiente, senza necessità di ricorrere ad approcci farmacologici.

In persone con elevati livelli di trigliceridi associati a ipercolesterolemia, condizione nota come dislipidemia combinata, farmaci come le statine hanno dimostrato in numerosi studi un soddisfacente profilo di efficacia e sicurezza, riducendo il rischio di eventi cardiovascolari maggiori quali l’ictus ischemico e l’infarto del miocardio. Nelle persone con ipertrigliceridemia isolata non controllata da sole abitudini alimentari e stile di vita, o con persistenza di elevati livelli di trigliceridi nonostante terapia con statina, gli acidi grassi omega-3 sono ben tollerati e risultano efficaci nel ridurre i livelli di trigliceridi. In presenza di ipertrigliceridemia particolarmente severa e non controllabile con i trattamenti visti finora, i fibrati possono essere molto efficaci nel controllo dei livelli di trigliceridi, ma richiedono cautela in presenza di concomitante utilizzo di statine.  Infine, in casi selezionati, a questi farmaci è possibile associare resine che inibiscono l’assorbimento dei grassi a livello intestinale, come la colestiramina, e i derivati dell’acido nicotinico, come l’acipimox, che riducono la sintesi dei grassi.

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