“In acqua riesco a sentire davvero il mio corpo”. Forse è per questo che Arjola Trimi, classe 1987, campionessa paralimpica di nuoto ha nel suo palmares – tra Giochi Olimpici, Europei e Mondiali – 7 ori, 6 argenti e e 5 bronzi. Sportiva fin da bambina, Arjola ha sempre praticato il nuoto, ma la sua carriera agonistica inizia solo nel 2013.
Nel 2012, infatti, la sua vita cambia, quando una tetraparesi spastica degenerativa – una forma di paralisi che coinvolge in particolare la muscolatura di gambe e braccia – le porta via la sensibilità dalle gambe fino al bacino.
Con lei e con il dott. Fabio Intelligente – anestesista coordinatore del Servizio di Terapia Antalgica per il dolore cronico dell’unità di Anestesia e day hospital chirurgico in Humanitas – abbiamo parlato della sua malattia e delle cure per tenere sotto controllo il dolore.
Il nuoto, la malattia e una nuova consapevolezze di sé
“Quando è subentrata la malattia ho riscoperto il nuoto – ha spiegato l’atleta -: entrare in acqua e non riuscire a nuotare per me è stato difficile, ma l’agonismo mi ha aiutata molto a percepire e riscoprire il mio corpo”. “Dopo lo sconforto e la rabbia, arriva un momento in cui raccogli i pezzi e cerchi di capire cosa fare”, ha confidato, “acquisisci consapevolezza di te stessa, di cosa è cambiato e di cosa fare da quel momento in poi”.
Quale sia stato il fattore scatenante della malattia di Arjola “è ancora un mistero, dal punto di vista medico – ha spiegato ancora la nuotatrice – ma ora ho la consapevolezza di quella che è a la mia nuova normalità, certamente più difficile rispetto a prima, ma nel tempo sono riuscita costruire una quotidianità”. La speranza di Arjola “ è che la ricerca vada avanti” e che “sia sempre più guidata dall’interazione e dal feedback tra medico e paziente, che è fondamentale”.
Tra i principali sintomi della tetraparesi spastica ci sono la paralisi della muscolatura volontaria degli arti, rigidità e ipertono e contratture muscolari. Inoltre, spesso i pazienti che ne soffrono perdono la coordinazione. Sintomi che sono causa anche di “fortissimi dolori” – ha spiegato Arjola – “che con le prime cure non sono riuscita a gestire”.
Per questo da qualche anno Arjola segue una terapia antalgica, nota anche come terapia del dolore, in Humanitas, cui riesce a tenere sotto controllo rigidità, contrazioni e spasticità muscolari.
La terapia antalgica
“Questo tipo di terapia ha aiutato tantissimo – ha spiegato la campionessa – perché non avevo più dolori cosi forti da compromettere la mia quotidianità: da semi-sdraiata sono riuscita a tornare seduta” e “i dolori erano molto più controllati: riuscivo a gestirmi meglio e ad essere autonoma, oltre che a praticare il mio sport nel migliore dei modi”.
“Dopo diversi tentativi di cure con farmaci da assumere per bocca, sono stata indirizzata verso questo tipo di cura: ora ho una sorta di pompetta che contiene morfine e baclofene con cui si inietta una quantità di farmaci paradossalmente minore rispetto a quella che assumevo per via orale, ma che è molto più efficace, perché arriva direttamente al canale midollare e ha un effetto immediato”.
“Si tratta di un serbatoio impiantato a livello sottocutaneo – come ha spiegato dal dott. Intelligente – che porta il farmaco fino a livello dello spazio aracnoideo, ovvero nella zona delle meningi. Questo permette di infondere una quantità di farmaco con molta più efficacia rispetto a quelle somministrate via endovena o per bocca”.
Spegnere i dolori e tornare alla vita quotidiana
“Poter controllare il dolore, in qualunque situazione, può aiutare a migliorare la qualità di vita; anche per patologie per non c’è una cura definitiva si può beneficiare della terapia antalgica”, ha spiegato il dott. Intelligente.
“Questo vale per tutti i pazienti: ad esempio per chi soffre di dolori cronici, come l’artrosi” o “anche fasi acute e particolarmente invalidanti tra cui l’herpes zoster, noto come il anche Fuoco di Sant’Antonio” così come i dolori che spesso colpiscono “gli sportivi. Si possono gestire e questo aiuta a vivere meglio”, ha assicurato il dottore.
Somministrazioni diverse e personalizzate
Gli strumenti per somministrare la terapia antalgica sono diverse: dalle infiltrazioni, ad esempio per mal di schiena, ai farmaci, fino a tecnologie di radiofrequenze o interventi di neuromodulazione; e ancora tecniche di medicina rigenerativa.
Le modalità sono differenti e decise dal medico in base alle caratteristiche del paziente e del suo dolore: “sono tecniche consolidate e mirate – ha assicurato Intelligente -: la nostra peculiarità è di cercare tecniche sempre più precise. Grazie a ecografie o radiografie possiamo essere sempre più precisi e certi di somministrare la terapia proprio nel punto giusto, dando così la massima efficacia possibile. E’ un tipo di cura che si può personalizzare, è quasi sartoriale”, ha concluso il dottore.
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