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Terapia post infarto: meglio l’angioplastica dei farmaci

Il verdetto è ormai definitivo: in caso di infarto, all’arrivo in Pronto soccorso, l’intervento più efficace è la cosiddetta angioplastica, che prevede la riapertura del vaso cardiaco chiuso mediante una sonda infilata attraverso l’arteria femorale fino alle coronarie ostruite. L’alternativa, attualmente più praticata perché non richiede la presenza costante in ospedale di un’équipe specializzata, consiste nel somministrare alcuni farmaci, i cosiddetti trombolitici, per sciogliere il coagulo che impedisce una corretta ossigenazione del muscolo cardiaco. Alcuni importanti studi pubblicati nelle scorse settimane confermano infatti, al di là di ogni dubbio, che l’approccio con la sonda e il palloncino è assai più efficace dei farmaci, anche se il centro attrezzato non è quello più vicino. L’
angioplastica, fra l’altro, sarebbe solo apparentemente più costosa delle medicine, dal momento che riesce a prevenire successivi problemi.

“L’intervento di norma viene effettuato in
anestesia locale, prevede il posizionamento nel vaso sanguigno ostruito di un
catetere “a palloncino”, che viene gonfiato e sgonfiato più volte fino a garantire il ripristino del normale flusso sanguigno – spiega la dott.ssa Patrizia Presbitero, cardiologa e responsabile dell’Unità Operativa di Emodinamica di Humanitas. Il più delle volte, dopo la riapertura del vaso il chirurgo lascia una sorta di tubicino rigido, chiamato stent, che riduce la probabilità che il vaso torni a chiudersi”.

Uno studio dimostra che l’angioplastica garantisce migliori risultati
E’ stata la rivista medica britannica “The Lancet” a sciogliere ogni riserva, dimostrando che l’angioplastica garantisce migliori risultati rispetto alla
terapia trombolitica persino quando quest’ultima viene praticata appena dopo l’
infarto, e ancor prima di arrivare in ospedale. Lo studio, chiamato in sigla CAPTIM, ha coinvolto 27 ospedali francesi e il servizio mobile di rianimazione SAMU (equivalente in Italia al 118), e ha confrontato la sorte di 800 pazienti che hanno subito un infarto acuto tra il 1997 e il 2000. Suddivisi in due gruppi, i pazienti sono stati sottoposti al trattamento trombolitico (direttamente a casa o in ambulanza), oppure sono stati portati nel minor tempo possibile al più vicino centro dotato di un servizio di
emodinamica, dove sono stati sottoposti all’intervento di angioplastica sul vaso responsabile dell’infarto.

Invasività o non invasività: trattamenti a confronto
Ebbene, tra quelli trattati invasivamente la probabilità di avere un nuovo infarto o di andare incontro a complicanze cerebrovascolari come l’
ictus si è ridotta del 24 per cento. La mortalità, invece, è risultata uguale nei due gruppi, ma anche per questo c’è una spiegazione: innanzitutto i pazienti scelti per lo studio erano per lo più a basso rischio, ed è noto che questi sono quelli che beneficiano meno del trattamento con angioplastica, che mostra tutta la sua potenza sui malati più gravi; in secondo luogo, oltre un quarto dei pazienti trattati con trombolitici ha dovuto essere sottoposto in un secondo momento a una angioplastica di salvataggio, perché il farmaco non è stato sufficiente.

Tutti i vantaggi dell’angioplastica
Quest’ultimo studio ha messo il puntino sulle “i” di una situazione che a molti esperti sembrava già chiara: l’angioplastica riduce la mortalità, la percentuale di secondi infarti non fatali, di successivi ricoveri per
angina
(una forma preinfartuale che si manifesta con dolore al petto e che è spia di un malfunzionamento delle
coronarie), e soprattutto azzera il rischio di ictus, che si verifica, invece, in quasi il 2 per cento dei casi in cui vengono somministrati i farmaci trombolitici. E il beneficio è evidente a breve, medio e lungo termine: secondo alcune valutazioni attendibili ogni 1.000 infartuati, il palloncino è in grado, rispetto alla trombolisi, di salvare 20 vite, prevenire 43 reinfarti, evitare 10 ictus e 13 emorragie intracraniche.

Alcune difficoltà
Certo, applicare queste conoscenze su tutti coloro che hanno un infarto è tutt’altro che semplice. Mancano, infatti, i medici capaci di fare questo specifico intervento in tutti gli ospedali e, soprattutto, è difficile assicurare un tale servizio 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno. Gli amministratori sanitari, tra l’altro, si preoccupano del possibile costo. A tranquillizzarli ci pensa la rivista medica americana JAMA che ha confrontato il costo per il sistema sanitario dei due trattamenti, concludendo che la differenza iniziale (che ammonta a circa 1.700 euro per paziente a sfavore del trattamento invasivo) si riduce a circa 600 € dopo sei mesi di distanza ed è destinata a capovolgersi col passare del tempo a favore dell’angioplastica: il risparmio, infatti, si applica soprattutto sulla minore necessità di assistenza, farmaci e riabilitazione dei malati, nonché su un loro più rapido ritorno al lavoro e alla vita produttiva.

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Angioplastica

A cura di Fabio Turone

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