La malattia di Crohn è un’infiammazione del tratto gastrointestinale, una patologia cronica, progressiva e disabilitante.
Un nuovo studio pubblicato su The Lancet rivoluziona la strategia di trattamento della malattia e apre a sviluppi futuri. Ne abbiamo parlato con gli specialisti di Humanitas.
Fino a oggi nel modificare la terapia del paziente con malattia di Crohn ci siamo basati solo sulla sintomatologia, ma in questo studio si è dimostrato che i sintomi non bastano e che occorre valutare tutti i parametri di infiammazione, come per esempio la calprotectina fecale o la proteina C reattiva, per modificare la terapia.
Un’altra caratteristica di questo studio è che si sono considerati pazienti di nuova diagnosi, con una durata molto breve di malattia. Si è dimostrato che trattare la malattia non solo considerando i sintomi, ma spegnendo tutti i marcatori di infiammazione porta a un controllo migliore non solo per quanto riguarda i sintomi ma soprattutto per le ulcere, dal punto di vista endoscopico, dell’intestino e nel lungo termine riduce il numero delle ospedalizzazioni dei pazienti.
La malattia di Crohn
A differenza di molte altre patologie la malattia di Crohn ha una caratteristica: i pazienti che ne soffrono hanno la capacità di adattarsi ai sintomi e sono in grado di star bene in un certo senso, anche se in realtà la malattia è presente e il fuoco dell’infiammazione continua a poco a poco a progredire e a creare complicanze nel loro intestino.
È fondamentale nel lungo termine che i pazienti non solo abbiano un controllo dei sintomi, ma che ogni 3-6 mesi si sottopongano a esami del sangue e delle feci. Ci sono poi oggi metodiche non invasive (come ecografia e risonanza magnetica) che aiutano a controllare la patologia e a fare in modo che laddove ci sia ancora infiammazione pur in assenza di sintomi, il medico possa intervenire modulando le terapie, in modo da avere a lungo termine l’assenza di complicanze a livello intestinale.
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