Una scoperta scientifica apre nuove prospettive nel campo dei trapianti e la ricerca sulle malattie intestinali punta sulle cellule staminali.
Un organo umano, un intestino, creato in laboratorio grazie all’utilizzo di cellule staminali sia embrionali sia adulte. Secondo la rivista scientifica Nature, la scoperta degli scienziati del Cincinnati children’s hospital medical center apre nuove possibilità sul fronte degli organi e dei tessuti “in provetta” da impiegare nei trapianti. Si tratta di un risultato importante, divulgato da una rivista tra le più autorevoli, spiegano gli specialisti di Humanitas. Quello di poter creare organi ‘di ricambio’ per i trapianti è l’obiettivo di molti medici e ricercatori e la recente scoperta degli scienziati americani fa ben sperare in questo senso. Tuttavia è presto per dire che siamo in grado di riprodurre organi interi. I ricercatori di Cincinnati sono infatti riusciti a far differenziare le cellule dell’intestino ‘in provetta’, ma il percorso per ottenere tutte le singole strutture che compongono un organo così complesso e per riprodurne la funzionalità è ancora lunga.
Anche nel campo delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino (IBD) la ricerca sulle cellule staminali è in fase avanzata. “L’European group for blood and marrow transplantation (Ebmt) sta portando avanti uno studio clinico che si chiama Astic e al quale contribuisce insieme ad altri centri europei anche Humanitas. Si tratta di una sperimentazione che utilizza come terapia il trapianto di cellule staminali nei pazienti affetti da Morbo di Crohn, in particolare in quelli che non rispondono alle terapie tradizionali o ai farmaci biologici. I pazienti vengono prima sottoposti a immunoablazione, viene cioè azzerato il loro sistema immunitario, e poi trapiantati. Il trapianto avviene subito oppure dopo un anno dall’immunoablazione, per poter valutare se i benefici al paziente derivano dal trapianto stesso oppure già dall’azzeramento del sistema immunitario. La prima paziente trattata in Humanitas è stata trapiantata sei mesi fa e ha risposto in maniera positiva.
Le malattie infiammatorie croniche intestinali (in inglese “IBD”, inflammatory bowel disease) colpiscono più di 4 milioni di persone nel mondo, e circa 200 mila solo in Italia. Fino a 10 anni fa le cure per queste malattie invalidanti erano poche, e i pazienti andavano incontro a ripetuti interventi chirurgici. Oggi invece farmaci diversi permettono di tenere sotto controllo l’infiammazione: grazie alla ricerca, che negli ultimi anni ha compiuto importanti progressi e ha aperto la strada a prospettive terapeutiche innovative.
Le IBD sono malattie a causa sconosciuta. L’ipotesi patogenetica prevalente è quella di una reazione immunologica abnorme da parte dell’intestino nei confronti di antigeni (per esempio batteri normalmente presenti nell’intestino). Questo squilibrio immunologico può instaurarsi per un’alterata interazione tra fattori genetici propri dell’individuo e fattori ambientali. Le IBD presentano una certa “familiarità”, ovvero la tendenza ad un maggior rischio nei parenti delle persone affette, ma non sono malattie ereditarie.
La malattia di Crohn comporta ulcerazioni della mucosa intestinale che lentamente diventano più profonde e interessano gli altri strati dell’intestino. Il Crohn può interessare tutto il tratto digerente, dalla bocca all’ano, e i sintomi variano in base alla sua localizzazione; dolore addominale, diarrea, febbre e calo di peso sono quelli più frequenti. Si tratta di una malattia cronica, che col tempo può andare incontro a complicanze, quali l’occlusione intestinale, che possono comportare ripetuti interventi chirurgici di asportazione del tratto dell’intestino malato o di resezione e ristabilimento del canale alimentare (stomia definitiva). Gli esami strumentali che permettono una corretta diagnosi delle IBD sono: la colonscopia con eventuale ileoscopia retrograda; la definizione del quadro anatomo-patologico delle biopsie intestinali mediante esame istologico; l’ecografia addominale e dell’intestino con radiografia del tenue, tac enteroclisi o risonanza magnetica addominale; gli esami ematici (emocromo ed indici di infiammazione).
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