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Sindrome dell’intestino irritabile: cause, sintomi, esami per la diagnosi e cure

Che cos’è la sindrome dell’intestino irritabile

La sindrome dell’intestino irritabile (SII) è una delle patologie intestinali più comuni e colpisce circa il 10% della popolazione italiana. È più frequente nelle donne e sotto i 50 anni di età. Si tratta di un disordine dell’asse cervello-intestino, precedentemente noto come disturbo funzionale intestinale, dall’andamento cronico-ricorrente, esacerbato da eventi particolarmente stressanti a livello fisico (interventi chirurgici, malattie ecc.) e psichico (separazioni, lutti ecc.).

La sindrome dell’intestino irritabile è caratterizzata da dolore addominale che migliora dopo l’evacuazione, associato ad alterazione della funzione intestinale (con stipsi, diarrea o un’alternanza delle due).

Tale disturbo determina un ampio ventaglio di sintomi, che hanno un impatto negativo sulla qualità della vita tanto che, dopo l’influenza, è la seconda causa di assenza dal lavoro per il 15-20% della popolazione italiana.

Fortunatamente è una patologia benigna, che non porta allo sviluppo di tumori e non è quindi correlata al cancro del colon-retto. A ogni modo, in presenza di sintomi intestinali anomali o che destano dubbi e/o preoccupazioni, si consiglia sempre di rivolgersi al proprio medico per i dovuti accertamenti.

Ne parliamo con la dottoressa Piera Alessia Galtieri, specialista in Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva in Humanitas.

Quali sono i sintomi della sindrome dell’intestino irritabile

I sintomi tipici della sindrome dell’intestino irritabile sono definiti da criteri internazionali, noti come Criteri di Roma, in base ai quali si parla di intestino irritabile in presenza di dolore addominale ricorrente (almeno una volta/settimana negli ultimi 3 mesi), associato a 2 o più dei seguenti criteri:

  • correlato alla defecazione;
  • associato a un cambiamento nella frequenza delle feci;
  • associato a un cambiamento nella forma (aspetto) delle feci.

In base alle caratteristiche della funzione intestinale, la sindrome dell’intestino irritabile può essere classificata in 3 sottotipi:

  • SII-variante stipsi: feci dure o caprine in almeno il 25% delle evacuazioni anormali;
  • SII-variante diarrea: feci molli o liquide in almeno il 25% delle evacuazioni anormali;
  • SII-variante mista: feci talvolta dure o caprine e talvolta molli o liquide.

Sempre a livello intestinale possono essere presenti anche:

  • evacuazione difficoltosa (che richiede una spinta eccessiva e/o che si accompagna a una sensazione di urgenza e/o di svuotamento incompleto);
  • muco nelle feci;
  • gonfiore o distensione addominale.

Possono inoltre associarsi sintomi di natura extra-intestinale, tra cui:

La sindrome dell’intestino irritabile si presenta spesso in associazione con altri disturbi del tratto gastrointestinale, come la dispepsia e la sensibilità al glutine.

Le cause della sindrome dell’intestino irritabile

La sindrome dell’intestino irritabile è una patologia multifattoriale, caratterizzata da disturbi intestinali, in assenza di alterazioni o lesioni a carico dell’intestino.

Tra i fattori che concorrono a scatenare e a far perdurare i sintomi troviamo fattori biologici ma anche emotivi, cognitivi e psico-sociali (nell’intestino si trova il cosiddetto secondo cervello, sempre in comunicazione con il primo, per cui eventi stressanti a livello psichico possono riflettersi a livello intestinale e viceversa), tra cui:

  • aumentata sensibilità viscerale;
  • alterazioni della motilità intestinale;
  • alterazioni del microbiota (disbiosi);
  • infiammazioni e infezioni intestinali;
  • percezione soggettiva del dolore;
  • condizioni di ansia, stress, depressione.

La diagnosi della sindrome dell’intestino irritabile: la visita gastroenterologica

Per una malattia come l’intestino irritabile non esiste un test diagnostico specifico: la diagnosi è essenzialmente clinica e viene effettuata sulla base di un’accurata visita gastroenterologica.

Solitamente il medico raccoglie l’anamnesi del paziente, rivolgendo una serie di domande su caratteristiche dei sintomi, stile di vita e storia clinica, per poi effettuare un attento esame obiettivo.

Durante la visita lo specialista valuterà attentamente anche la presenza di campanelli d’allarme – che comprendono dimagrimento inspiegabile, anemia, febbre, presenza di sangue nelle feci, dolore che non migliora dopo l’evacuazione, sintomatologia notturna e comparsa di tali disturbi dopo i 50 anni – che non sono tipici dell’intestino irritabile e che devono far pensare a condizioni più serie, che meritano approfondimenti ulteriori.

In base alla visita effettuata il gastroenterologo potrà richiedere ulteriori accertamenti per escludere patologie dalla sintomatologia sovrapponibile alla sindrome dell’intestino irritabile, come, per esempio:

Il trattamento della sindrome dell’intestino irritabile

Contro la sindrome dell’intestino irritabile non c’è una cura definitiva né un trattamento uguale per tutti: lo specialista decide la strategia terapeutica sulla base dei principali sintomi riferiti dal paziente e della severità degli stessi.

Come prima cosa viene generalmente suggerita una modifica dello stile di vita, sia per contrastare lo stress sia per migliorare la salute intestinale attraverso una regolare attività fisica (che aiuta anche contro lo stress), una corretta alimentazione e un’adeguata idratazione.

Intestino irritabile e alimentazione: cosa mangiare

I sintomi dell’intestino irritabile sono spesso associati all’assunzione di particolari cibi, che i pazienti tendono a escludere dalla dieta.

Le modifiche dietetiche devono essere effettuate sotto controllo medico/nutrizionistico per non rivelarsi pericolose e valutate in base ai sintomi.

La dieta a basso contenuto di FODMAP (Fermentable Oligo-saccharides, Disaccharides, Mono-saccharides and Polyols) ovvero di cibi contenenti zuccheri poco assorbibili e dal forte potere fermentativo, che richiamano acqua nell’intestino e sono difficili da digerire, è associata a una significativa riduzione dei sintomi globali. Tuttavia, l’eccessiva  e prolungata restrizione di FODMAPS può portare a carenze nutrizionali.

La dieta a basso contenuto di FODMAP dovrebbe prevedere tre fasi: la sostituzione degli alimenti ad alto contenuto di FODMAP, la graduale reintroduzione di alimenti nella dieta in base all’andamento dei sintomi e la

personalizzazione della dieta per evitare cibi che scatenano i sintomi.

Le fibre solubili sono frequentemente raccomandate nei pazienti con stipsi come sintomo dominante (20-30g al giorno) dal momento che aumentano il contenuto di acqua nelle feci, accelerandone il transito.

Tra gli alimenti che in genere si consiglia di limitare rientrano, ad esempio: asparagi, carciofi, funghi, cipolla, aglio, mele, ciliegie, pere, anguria, pesche, legumi, latte vaccino, pasta e pane.

Tra i cibi consigliati, invece, troviamo verdure come carote, patate, zucchine e melanzane, frutti quali kiwi, prugne, formaggi stagionati (quindi a ridotto contenuto di lattosio), uova e tofu, carne bianca, quinoa, riso, mais e cioccolato fondente.

Se poi i sintomi principali sono meteorismo con gonfiore e distensione addominale, può essere consigliata una dieta che riduca o elimini il consumo di cibi “formanti gas”, come bevande gassate (e chewing-gum), insalata a foglia larga (come la lattuga), cavolfiore, broccoli e legumi.

Attenzione però: non esiste un’alimentazione ideale valida per tutti Occorre affidarsi a un gastroenterologo e/o un dietista e, in genere, è bene compilare un diario alimentare che aiuti a identificare quei cibi che possono scatenare o meno i sintomi, permettendo così al medico di stabilire un’alimentazione adeguata su misura.

La terapia farmacologica

Se cambiamento di stile di vita e di alimentazione non bastano, possono essere necessarie terapie specifiche, ancora una volta definite sulla base dei sintomi preponderanti e da assumere su indicazione medica.

Se il paziente soffre di sindrome dell’intestino irritabile a tendenza stitica, per esempio, le opzioni di trattamento possono comprendere, a seconda del tipo di stipsi:

  • integratori a base di fibre solubili (come psyllium, glucomannano)
  • lassativi osmotici (come macrogol);

Qualora, invece, la condizione sia caratterizzata da diarrea, possono essere consigliati:

  • antibiotici non assorbibili come la rifaximina (per ridurre la fermentazione intestinale e/o se si sospetta una contaminazione batterica);
  • Probiotici (fermenti lattici);
  • Farmaci antidiarroici, da utilizzare sotto supervisione medica (anche in caso di farmaci da banco, come Loperamide).

Per i dolori e gli spasmi intestinali possono essere prescritti farmaci antispastici, che alleviano anche il gonfiore ma che devono essere assunti a un basso dosaggio per non determinare stipsi (o peggiorarla se presente).

Se i sintomi intestinali si associano a riduzione del tono dell’umore, il Medico valuterà la prescrizione di farmaci antidepressivi, che determinano un aumento dei livelli disponibili di serotonina, neurotrasmettitore particolarmente coinvolto nell’asse cervello-intestino, in grado di modulare l’umore ma anche la motilità intestinale.

In presenza di uno stato ansioso, invece, potrebbero essere prescritti ansiolitici (come le benzodiazepine) da soli o in associazione ad antispastici, per contrastare in particolare i crampi intestinali aggravati dallo stress (le benzodiazepine agiscono anche come rilassanti della muscolatura intestinale).

Possono aiutare, infine, anche terapie complementari come agopuntura, terapia cognitivo-comportamentale e tecniche di rilassamento mente-corpo.

Si può prevenire la sindrome dell’intestino irritabile?

Più che di prevenzione della sindrome, possiamo parlare di prevenzione delle riacutizzazioni dei sintomi. Allo scopo è importante innanzitutto accettare il disturbo e la convivenza con esso, imparando a riconoscere quegli eventi e fattori che peggiorano le manifestazioni, non solo per intervenire quanto prima, assumendo gli eventuali farmaci prescritti dal medico al momento della loro insorgenza, ma anche per evitare per quanto possibile le situazioni che sono alla base dello sviluppo sintomatico, in particolar modo quando legate a fattori stressogeni. In questo caso, si consiglia di applicare le eventuali strategie apprese (attività fisica, rilassamento, eccetera) che hanno dimostrato un beneficio.

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