La forma della superficie di una protesi è in grado di interagire in modi inaspettati con il sistema immunitario: micro avvallamenti o conche utilizzati per rendere la protesi più ruvida e stabile possono intrappolare le cellule del sistema immunitario, generando uno stato infiammatorio. La scoperta è stata possibile grazie a un approccio multidisciplinare che ha coinvolto chirurghi, ingegneri, biofisici ed immunologi.
I dati emersi nello studio aggiungono un elemento inedito – quello della geometria microscopica – alla comprensione dei meccanismi infiammatori legati alle protesi: fino a oggi l’ipotesi degli scienziati era che l’infiammazione dipendesse dai materiali utilizzati, dalla presenza di infezioni batteriche o dalla frizione meccanica tra il corpo estraneo e i tessuti circostanti. Lo studio si è concentrato sulle protesi per il seno ma le sue conclusioni sono rilevanti per tutti i dispositivi medici sottopelle.
A condurre la ricerca sono stati il Dott. Valeriano Vinci, ricercatore di Humanitas University e chirurgo presso l’Unità Operativa di Chirurgia Plastica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas diretta dal Prof. Marco Klinger, il Prof. Gerardus Johannes Janszen, docente del Politecnico di Milano, la Dott.ssa Cristina Belgiovine dell’Università di Pavia e il Prof. Roberto Rusconi, professore associato di fisica applicata presso Humanitas University e responsabile del laboratorio di biofisica e microfluidica di Humanitas.
Lo studio è stato pubblicato su Life Science Alliance – la rivista Open Access nata da tre realtà di eccellenza: EMBO, Rockefeller University e Cold Spring Harbor Laboratory – ed è stata possibile grazie al sostegno di un finanziamento PRIN del Ministero della Ricerca.
Protesi al seno e risposta infiammatoria
Le protesi mediche sono strumenti di cura fondamentali: ci tengono in vita, come nel caso dei peacemaker, ci permettono di ricominciare a camminare e muoverci dopo traumi o malattie articolari, e ci aiutano a riappropriarci della nostra identità, come spesso accade nel caso delle protesi estetiche e ricostruttive del seno, cui molte donne fanno ricorso dopo la chirurgia oncologica.
Ma le protesi sono anche corpi estranei che devono essere accolti all’interno di un organismo abituato a rispondere alle possibili minacce che provengono dall’esterno. Ecco perché possono generare localmente una risposta infiammatoria. Quando questa risposta è eccessiva, può aumentare il rischio di sviluppare malattie infiammatorie, autoimmuni, o anche tumori, soprattutto quelli associati a condizioni di infiammazione cronica. È il caso, ad esempio, del Linfoma anaplastico a grandi cellule (noto come ALCL), un linfoma molto raro e con buoni tassi di guarigione – purché identificato per tempo – la cui incidenza è però lievemente più alta nelle pazienti con protesi al seno macro-testurizzate, una tipologia di protesi caratterizzata da una superficie più ruvida, che è stata poi tolta dal commercio proprio per questa correlazione.
Spiega il dott. Valeriano Vinci: «L’obiettivo della nostra ricerca non è tanto capire il meccanismo alla base del maggior rischio presentato dalla protesi macro-testurizzate, ormai non più in commercio, ma soprattutto mettere a punto un sistema per testare la sicurezza delle altre protesi al seno in uso, come quelle lisce e soprattutto le micro-testurizzate, e potenzialmente di altre tipologie di protesi o dispositivi medici, anche molto diversi da una protesi al seno. Indipendentemente da forma e funzione infatti, tutti i dispositivi medici hanno una superficie esterna a contatto con i tessuti dell’organismo e, come la nostra ricerca dimostra, il modo in cui è fatta questa superficie ha un ruolo importante».
Come la geometria interagisce con il sistema immunitario
Lo studio ha coinvolto 43 pazienti che avevano necessità di sostituire la propria protesi al seno, una procedura comune a distanza di tanti anni dal primo inserimento e nel caso di protesi temporanee, a espansione, il cui ruolo è proprio quello di preparare il tessuto a ospitare la protesi permanente. Oltre il 60% delle donne aveva una storia di tumore al seno e a seguito dei trattamenti aveva fatto ricorso alla chirurgia ricostruttiva.
I ricercatori hanno raccolto il liquido peri-protesico delle pazienti e l’hanno analizzato con tecniche di analisi genomica e cellulare avanzate. L’obiettivo era duplice: identificare la presenza di infezioni batteriche e analizzare il profilo di attivazione immunitaria, ovvero quali cellule del sistema immunitario e quali citochine infiammatorie erano presenti.
«Abbiamo scoperto che l’elemento chiave nel determinare la risposta infiammatoria, sia cellulare che molecolare, non era la presenza o meno di infezioni batteriche, quanto piuttosto la struttura geometrica superficiale delle diverse protesi – afferma il prof. Roberto Rusconi –. Nel caso delle protesi macro-testurizzate, che presentano cioè superfici con avvallamenti particolarmente pronunciati e spigolosi, come dei veri e propri pozzetti micrometrici, l’infiammazione è maggiore. Mentre le protesi lisce e quelle micro-testurizzate, ovvero solo lievemente “ruvide” – una proprietà importante per mantenerle stabili e ridurre il rischio di altre complicanze – hanno tassi bassi di infiammazione e si confermano sicure».
Per comprendere meglio il motivo di questa reazione infiammatoria, i ricercatori hanno riprodotto fedelmente la superficie delle protesi in laboratorio e hanno studiato come le cellule immunitarie reagiscono in un contesto controllato. L’esperimento è stato possibile grazie alla collaborazione con il gruppo del prof. Gerardus Janszen e del prof. Luca di Landro del Politecnico di Milano, che hanno utilizzato un microscopio elettronico in grado di fotografare la superficie delle protesi a livello nanometrico, per poi riprodurle fedelmente utilizzando un materiale polimerico, il PDMS, simile a quello impiegato per le protesi al seno.
«Gli studi condotti in laboratorio hanno confermato quanto osservato nei campioni clinici. Non solo, ma ci hanno permesso di vedere cosa stava realmente accadendo: le cellule immunitarie, ed in particolare i linfociti T, vengono intrappolate all’interno dei pozzetti presenti sulla superficie delle protesi macro-testurizzate. In questa condizione di confinamento, rilasciano segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario, le citochine appunto, caratteristici di uno stato di infiammazione cronica», spiegano Roberto Rusconi e Valeriano Vinci, che concludono: «Lo studio dà un messaggio positivo sulla sicurezza delle protesi micro-testurizzate e ha un alto valore traslazionale: grazie a questo lavoro abbiamo messo a punto una vera e propria piattaforma tecnologica per testare le superfici di altre tipologie di protesi e dispositivi medici».
«È molto importante che, come accade in Humanitas, un ospedale collegato a un centro di Ricerca faccia anche questi studi, fondamentali per dare risposte concrete alle richieste di qualità e sicurezza delle pazienti. Ricerca e pratica clinica in rapporto stretto, per il continuo miglioramento della cura», conclude il prof. Marco Klinger.
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