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Scompenso cardiaco: i sintomi e come si cura

Lo scompenso cardiaco (noto anche come insufficienza cardiaca) si verifica quando il cuore non è in grado di pompare abbastanza sangue per soddisfare le esigenze dell’organismo, a causa di problemi strutturali e/o funzionali cardiaci.

Lo scompenso cardiaco è una condizione cronica e progressiva, caratterizzata da episodi di peggioramento, che richiede al paziente, dopo la diagnosi, di intraprendere un percorso di trattamento. Questo può includere cambiamenti dello stile di vita, terapie farmacologiche e/o trattamenti interventistici o chirurgici.

Ne parliamo con il dottor Beniamino Pagliaro, cardiologo presso l’lRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e i centri medici Humanitas Medical Care.

Le cause dello scompenso cardiaco

Le cause possono essere diverse, tra cui la cardiopatia ischemica, come l’infarto del miocardio, le malattie valvolari cardiache, le cardiomiopatie, le cardiopatie congenite, che provocano danni al muscolo cardiaco e indeboliscono il cuore, rendendolo inefficiente nel soddisfare le richieste dell’organismo. 

Inoltre, sono associati fattori di rischio che danneggiano i vasi sanguigni e le cellule cardiache, come:

Ci sono anche altre condizioni predisponenti e/o patologie associate, come:

  • abuso di alcol
  • fumo
  • insufficienza renale cronica
  • malattie polmonari
  • familiarità per le malattie cardiache 
  • alcuni trattamenti chemioterapici.

Scompenso cardiaco: quali sono i sintomi?

I sintomi dello scompenso cardiaco possono non essere sempre evidenti. Nei primi stadi, possono essere aspecifici o lievi, diventando più evidenti con il progredire della malattia, talvolta rendendo necessari accertamenti cardiologici o, in casi più gravi, assistenza in pronto soccorso o ricovero ospedaliero.

I sintomi di scompenso cardiaco più comuni includono:

La dispnea è uno dei sintomi fondamentali di questa patologia e viene classificata secondo la New York Heart Association (NYHA) in quattro classi di gravità crescente (Classe I, II, III o IV), basate sui sintomi manifestati durante l’attività fisica:

  • Classe I: il paziente è asintomatico (non presenta sintomi). L’attività fisica normale non causa dispnea né affaticamento.
  • Classe II: vi è una lieve limitazione dell’attività fisica. L’attività fisica moderata (come salire due rampe di scale o salire alcuni gradini portando un peso) può causare dispnea o affaticamento.
  • Classe III: si manifesta una marcata limitazione dell’attività fisica. Anche l’attività fisica minima (come camminare o salire mezza rampa di scale) può causare dispnea o affaticamento.
  • Classe IV: i sintomi si presentano a riposo. Astenia, dispnea o affaticamento sono presenti anche in assenza di attività fisica.

Scompenso cardiaco: quali esami fare per la diagnosi?

La diagnosi di insufficienza cardiaca è principalmente clinica e inizia con un esame fisico del paziente per individuare segni di congestione (accumulo di liquidi). 

A questo, si aggiungono gli esami del sangue e gli esami strumentali (elettrocardiogramma, ecocardiogramma, radiografia del torace). In casi specifici, possono essere utilizzati strumenti diagnostici più avanzati, sia invasivi che non invasivi (come la risonanza magnetica cardiaca, il cateterismo cardiaco e la coronarografia).

Come si cura lo scompenso cardiaco?

Negli ultimi anni, la terapia farmacologica per l’insufficienza cardiaca ha visto l’introduzione di importanti innovazioni. Le quattro classi principali di farmaci considerati pilastri del trattamento includono:

  • inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAASi)
  • beta-bloccanti
  • antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRA) 
  • inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT2).

Oltre a queste quattro classi farmacologiche, spesso vengono prescritti diuretici, che rimangono fondamentali per il controllo della congestione nei pazienti con insufficienza cardiaca. Di recente, sono state introdotte anche altre classi di farmaci per l’uso in specifiche categorie di pazienti, soprattutto quando i sintomi persistono nonostante una terapia medica ottimizzata in conformità alle linee guida.

In aggiunta a queste terapie, si ricorre a trattamenti di supporto come la terapia marziale (ferro), che può essere somministrata per via orale o tramite infusione endovenosa, quest’ultima opzione è più rapida ed efficace. Inoltre, i pazienti con insufficienza cardiaca avanzata potrebbero trarre beneficio da cicli di infusione endovenosa di farmaci inotropi.

Il trattamento interventistico e chirurgico dello scompenso cardiaco

Oggi si dedica sempre più attenzione alla terapia non farmacologica dello scompenso cardiaco, che può essere di natura chirurgica o interventistica. 

Questo può comprendere interventi come il bypass coronarico, utilizzato nei casi di scompenso cardiaco dovuto a cardiopatia ischemica come infarto miocardico e angina pectoris, oltre alla riparazione o sostituzione delle valvole cardiache in presenza di problemi valvolari. Inoltre, può essere considerato il rimodellamento chirurgico del ventricolo sinistro per correggere l’anormale dilatazione cardiaca, spesso derivante da un infarto miocardico acuto.

Nei casi di insufficienza cardiaca avanzata, la cardiochirurgia offre un aiuto prezioso attraverso due opzioni principali. La prima è la possibilità di effettuare un trapianto cardiaco nei pazienti che sono idonei per età e condizioni fisiche. La seconda opzione è rappresentata dall’utilizzo di sistemi di assistenza meccanica al circolo come i dispositivi di assistenza ventricolare (VAD, ventricular assist device). Inoltre, si è assistito di recente all’introduzione di veri e propri cuori artificiali, offrendo ulteriori opzioni terapeutiche per i pazienti affetti da insufficienza cardiaca avanzata.

Per quanto riguarda la terapia interventistica, è necessario distinguere tra le procedure di elettrostimolazione/elettrofisiologia e quelle di emodinamica.

Le procedure di elettrostimolazione/elettrofisiologia comprendono l’impianto di pacemaker e/o defibrillatori fino alla terapia di resincronizzazione cardiaca, che coinvolge dispositivi in grado di stimolare entrambi i ventricoli simultaneamente, migliorando così la performance cardiaca. Inoltre, l’ablazione transcatetere mediante radiofrequenze di alcune aritmie può svolgere un ruolo terapeutico nell’insufficienza cardiaca.

Per quanto riguarda l’emodinamica, ci sono diverse soluzioni terapeutiche disponibili. Queste includono l’angioplastica coronarica percutanea nei casi di coronaropatia associata all’insufficienza cardiaca, la riparazione percutanea delle valvole atrio-ventricolari mediante sistemi come MitraClip e TriClip, e l’impianto di valvola aortica transcatetere (TAVI) nei pazienti anziani che presentano un rischio di mortalità non accettabile per la cardiochirurgia.

La cardiologia interventistica può inoltre offrire soluzioni di assistenza meccanica al circolo a breve-medio termine, utilizzando un pallone intra-aortico (contropulsatore) o una pompa coassiale chiamata Impella. Nei casi più gravi, è possibile ricorrere all’ECMO (ossigenazione a membrana extracorporea), che sostituisce contemporaneamente la funzione di pompa cardiaca e di ossigenazione polmonare.

Infine, altri sistemi “invasivi” sono tuttora in studio come trattamento dello scompenso cardiaco; tuttavia, la loro validazione e applicazione nella pratica clinica, richiede ulteriori conferme derivanti dagli studi scientifici in corso.

Scompenso cardiaco e rischio di recidiva

I dati di letteratura scientifica indicano che i sei mesi successivi alla dimissione di un paziente ricoverato per scompenso cardiaco acuto, sia esso un primo episodio o una riacutizzazione dello scompenso cardiaco cronico, rappresentano il periodo più critico per il rischio di recidiva.

Lo scompenso cardiaco è una condizione cronica e progressiva con una forte inclinazione alla riacutizzazione. In questa fase, è essenziale monitorare attentamente le condizioni cliniche del paziente, che diventa protagonista dopo un’adeguata educazione da parte delle infermiere dedicate (case manager), nell’individuare segnali di allarme di un nuovo deterioramento del suo stato di salute. 

Il monitoraggio regolare dei parametri vitali a domicilio, come la pressione arteriosa, la frequenza cardiaca, la saturazione dell’ossigeno e il peso corporeo giornaliero, risultano quindi fondamentali. Il controllo del peso, in particolare, è un metodo semplice ed efficace per rilevare eventuali segni di allarme, come un repentino aumento di peso (ad esempio, un aumento di 2 kg in 2-3 giorni), che potrebbe indicare un accumulo di liquidi e richiedere un aggiustamento immediato della terapia diuretica. Al paziente viene fornita una scheda per registrare questi parametri ogni giorno e comunicarli durante il follow-up telefonico con le infermiere, il primo dei quali avviene una settimana dopo la dimissione.

Circa due settimane dopo la dimissione è prevista una visita di controllo cardiologico, durante la quale vengono valutate le condizioni cliniche del paziente e identificati eventuali segni o sintomi di congestione. In occasione di tale visita, si valuta anche l’eventuale titolazione e/o adeguamento della terapia cardioattiva. In base all’evoluzione del quadro clinico, si stabilisce la tempistica delle visite di controllo successive e si stabilisce l’eventuale necessità di ulteriori approfondimenti diagnostici.

Dopo i primi sei mesi di follow-up stretto, in assenza di episodi di riacutizzazione e con una stabilità clinica confermata, il paziente può passare a un programma di monitoraggio ambulatoriale con visite meno frequenti nel tempo, generalmente ogni sei mesi o annualmente.

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