La terapia delle forme avanzate di tumore del colon potrebbe presto disporre di un’arma in più: un anticorpo monoclonale diretto contro le proteine che permettono l’azione stimolante del fattore di crescita epidermico (epidermal growth factor, EGF), ossia i recettori specifici (EGFR). Lo suggerisce uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine e condotto da un team internazionale di oncologi e ricercatori, di cui ha fatto parte anche il dott. Armando Santoro, direttore del Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia di Humanitas.
Dott. Santoro, quale potrà essere il ruolo di questo nuovo anticorpo monoclonale?
“Il ruolo del cetuximab – questo il nome della molecola – è stato verificato in più di 300 malati con una forma di tumore avanzato che non rispondevano più alla chemioterapia classica a base di irinotecan, e che sono stati sottoposti a una cura con l’anticorpo, dato da solo o in aggiunta al farmaco. Sono stati quindi controllati alcuni dei parametri che definiscono l’efficacia di un farmaco antitumorale quali la risposta (ossia il fatto che il paziente sia o meno sensibile al farmaco), il tempo alla progressione (cioè l’intervallo che intercorre tra l’arresto e la ripresa della malattia), la sopravvivenza globale e gli effetti collaterali. Tutti questi indici hanno fatto emergere un miglioramento significativo nelle persone che avevano assunto le due molecole: la risposta nei malati che hanno ricevuto la combinazione è stata del 22,9%, contro il 10,8% di quella del gruppo in monoterapia; il tempo alla progressione è stato, rispettivamente, di 4,1 contro 1,5 mesi e la sopravvivenza è stata di 8,6 contro 6,9 mesi. Gli effetti collaterali, come previsto, sono stati più frequenti nei malati che assumevano i due farmaci, anche se la loro gravità non è stata significativamente diversa da quella attesa con il solo irinotecan”.
Il cetuximab poterà dunque vantaggi ai pazienti?
“Anche se a prima vista potrebbero sembrare vantaggi di entità non eccezionale, in realtà si tratta di persone che non hanno molte altre possibilità, perché sono affette da una neoplasia avanzata e non sono più sensibili ai farmaci usati in questi casi come l’irinotecan. Per costoro, quindi, il fatto di poter ricorrere a un farmaco che funzioni è comunque una grande opportunità”.
C’è un rovescio della medaglia?
“Il costo è senza dubbio il tallone d’Achille di questo come di un altro anticorpo monoclonale emerso di recente (anch’esso efficace contro il tumore del colon retto, il bevacizumab). Secondo alcune stime, un ciclo di otto settimane con il cetuximab, per un uomo di circa 70 chili, può arrivare a costare 30.000 dollari, contro i 300 delle terapie più vecchie (in verità non più usate) e i circa 10.000 di quelle praticate oggi, che includono l’iritenocan. Va ricordato, comunque, che i 30.000 dollari includono i 10.000 della terapia basata sull’irinotecan, che andrebbe comunque somministrata”.
Il costo è un problema che riguarda solo gli anticorpi monoclonali?
“Quello dei costi è il problema principale di tutte le nuove terapie, non solo dei monoclonali, ed è indubbio che in futuro le autorità sanitarie dovranno compiere scelte precise su questi aspetti. Tuttavia la storia insegna che i costi nel tempo scendono e, soprattutto nel caso di molecole realmente attive, le risorse si trovano. Piuttosto, è importante definire meglio il ruolo di questi anticorpi, per esempio verificando se e come funzionano in pazienti con tumori meno avanzati (è probabile che siano ancora più attive), se ci sono e quali altri assortimenti con chemioterapici classici e così via. Tutto ciò perché, senza dubbio, ci troviamo di fronte ad una classe di sostanze che funzionano, pur non essendo chemioterapici classici”.
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