È con affetto, riconoscenza e stima che Humanitas saluta il professor Leandro Gennari, mancato lo scorso 11 aprile all’età di 88 anni. Il prof. Gennari è stato fondatore e primo Direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale di Humanitas, pioniere nell’ambito della chirurgia oncologica in Italia e punto di riferimento in ambito scientifico nel nostro Paese e nel mondo.
Il professor Gennari fu premiato nel 2003 dalla città di Milano con la massima onorificenza civica: l’Ambrogino d’oro.
Dall’Istituto dei Tumori alla nascita di Humanitas
Il prof. Gennari iniziò la propria storia di chirurgo all’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano dove entrò nel 1957, lo stesso anno della laurea a Pavia. “Fratello maggiore e mentore” fu per lui il professor Umberto Veronesi dal quale imparò il mestiere e come disse in occasione della morte dello stesso Veronesi: “A curare il dolore con amore”. Gennari rimase all’Istituto dei Tumori per 40 anni, per poi arrivare tra i primi nel “neonato” Humanitas nel 1997.
Il ricordo del dottor Vittorio Quagliuolo
Tra i tanti a ricordare con affetto e stima il professor Gennari, c’è il dottor Vittorio Quagliuolo, Responsabile della Chirurgia dei Sarcomi, Melanomi e Tumori rari di Humanitas.
“Abbiamo lavorato insieme per 25 anni, prima all’Istituto dei Tumori e poi in Humanitas. Era un chirurgo di grande intuizione, dalla sensibilità profonda e di un’eccezionale umanità.
La chirurgia degli anni 70-80 era diversa da quella di oggi: ai tempi non esisteva la chirurgia oncologica e in Italia l’Istituto dei Tumori fu una fucina in ambito oncologico sotto la direzione di Bucalossi prima e di Veronesi poi. Si iniziarono a gettare le basi dell’odierna multidisciplinarità: tutti gli specialisti che si prendevano cura di un paziente non erano chiamati a fare solo la propria parte, ma a collaborare e a interfacciarsi con i colleghi delle diverse specialità affinché la cura del paziente fosse globale. Questa fu una grande innovazione in oncologia, che rese l’Istituto dei Tumori un luogo di eccellenza e che permise ai chirurghi formatisi in quella scuola di portare il proprio sapere oncologico in Italia e nel mondo, proprio come accadde qui in Humanitas.
Gennari ha fatto scuola in Italia: era specializzato in tutta la chirurgia dei tumori gastroenterologici e nella chirurgia dei sarcomi, in particolare fu pioniere nella chirurgia resettiva del fegato e del trapianto di fegato in ambito oncologico. Le sue pubblicazioni scientifiche lo resero noto anche all’estero, dove divenne un punto di riferimento.
Era capace di vedere al di là dell’ostacolo, trovando soluzioni innovative a beneficio dei pazienti anche grazie alla sua intuizione, che lo accompagnava sia nelle fasi di diagnosi (con i pochi mezzi che inizialmente avevamo a disposizione) sia nel post-operatorio.
Ricordo la sua sensibilità nei confronti dei pazienti, aveva una grande attenzione emotiva nei loro confronti: ci parlava, li ascoltava, offriva loro tutte le spiegazioni possibili ed era profondamente toccato dalla storia di ciascuno.
Con noi collaboratori era prodigo di consigli, sia in sala operatoria sia in reparto. Sebbene fosse conscio del proprio valore, era una persona umile e disponibile.
Ha dedicato la vita alla medicina, ma aveva molti interessi: era un grande appassionato di storia, un interista sfegatato e aveva una manualità spiccata”.
Le doti del medico e del chirurgo secondo il prof. Gennari
In un’intervista del 2003, in occasione dell’Ambrogino d’oro, il professor Gennari disse: “Per fare il medico e il chirurgo occorrono doti particolari. Per il Medico con la “M” maiuscola sono fondamentali sensibilità, cultura, amore verso il prossimo e un po’ di psicologia perché l’ammalato è una persona in difficoltà che lotta per tenersi stretta la cosa più importante che ha: la vita stessa. Per fare invece il chirurgo oltre alle qualità del medico serve una dote che non dipende dal lavoro o dall’impegno che si mette: il tocco istintivo come del pittore. Una manualità, un dono naturale e non voluto insito nel proprio Dna […].
Il mio consiglio è di non rinunciare mai a utilizzare sino in fondo la propria intelligenza, dal momento che il Signore ce l’ha data. Senza però mai dimenticare che il paziente chiede al medico non solo una risposta razionale alla sua malattia, ma anche una risposta empatica: il riconoscimento della sua dignità di uomo, la comprensione della sua sofferenza e parole e gesti in grado di infondere speranza e serenità”.
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