La continua crescita delle conoscenze mediche, che negli ultimi 20 anni ha registrato una forte accelerazione, ha portato da un lato alla superspecializzazione delle discipline mediche , dall’altro alla riduzione dell’intervallo di tempo che intercorre tra la scoperta della causa di una malattia e la disponibilità di un trattamento clinico. Ma con l’aumento della conoscenza, cresce anche la complessità dei problemi e delle scelte terapeutiche che il medico, in quanto “esperto” depositario di questo sapere, deve affrontare.
Humanitas Salute ha intervistato il professor Richard Bohmer, docente presso la Harvard Business School.
Professor Bohmer, si parla sempre più spesso di standardizzazione dei protocolli clinici: cosa sta avvenendo negli Stati Uniti?
“La maggior conoscenza delle cause e dei fattori di sviluppo delle malattie permette di definire procedure e linee guida terapeutiche condivise dalla comunità medica e scientifica. A questo punto ci troviamo di fronte a due modelli d’approccio, che possono coesistere.
Il primo, che possiamo definire ‘Expert dominates’, pone il medico al centro del processo decisionale di diagnosi e cura. E’ il modello tradizionale, che ha accompagnato, nel corso dei secoli, l’evoluzione della medicina. L’altro approccio che si sta consolidando oggi, è quello ‘Guidelines dominates’. La conoscenza è esplicitata e dettagliata sotto forma di protocolli e linee guida precisi che permettono di individuare il problema del paziente e attivare un percorso di cura standard. Il ruolo del medico, in questo contesto, diventa anche quello di ideatore e garante dei protocolli, con un coinvolgimento maggiore nella definizione degli aspetti organizzativi e nell’ottimizzazione dell’impiego delle risorse, contribuendo all’efficienza del sistema”.
Può citare degli esempi?
“Si può parlare dell’ospedale di Intermountain, in Idaho, dove questo approccio è applicato da alcuni anni. Nel 2003, il 92 per cento delle prestazioni, riconducibili a sette aree cliniche principali, sono state erogate attraverso protocolli standard, con un risparmio complessivo di circa 20 milioni di dollari. Le implicazioni di questa standardizzazione spinta sono molteplici. Per esempio, alcuni ospedali hanno creato un sistema di retribuzione dei medici che lega l’erogazione di un bonus economico al rispetto dei protocolli terapeutici (pay-for-performance), incentivandone così l’applicazione e il miglioramento. Cresce anche il coinvolgimento del paziente, maggiormente informato e consapevole del proprio stato di salute e in grado, per un’ampia gamma di disturbi, di decidere autonomamente una terapia: per esempio, per combattere le allergie stagionali con farmaci antistaminici”.
Se questo modello si diffonderà, quale sarà il ruolo del medico nel futuro?
“Medici e infermieri saranno fortemente coinvolti nei processi gestionali e dovranno possedere non solo competenze manageriali, ma anche la capacità di gestire il flusso crescente di nuove conoscenze mediche. Saranno sempre più impegnati nella definizione dei nuovi protocolli standard e dei casi in cui non possono essere applicati nella pratica clinica, individuando anche i metodi per misurare la qualità dei risultati. E dovranno essere in grado di gestire e motivare team multidisciplinari. Il medico non sarà più soltanto il responsabile delle scelte terapeutiche, ma, come già accade negli Stati Uniti, sarà ‘l’architetto’ del sistema sanitario al quale egli stesso partecipa, con un ruolo manageriale e la possibilità di avere un maggior controllo sulla propria vita professionale”.
A cura di Monica Florianello
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