La radiologia interventistica. Ovvero, radiologia intesa non solo come strumento diagnostico ma anche come mezzo d’intervento in senso terapeutico. Il dottor Giorgio Brambilla, responsabile dell’Unità Operativa di Radiologia Interventistica di Humanitas, illustra i suoi campi di aplicazione.
“Le tecnologie radiologiche – spiega il dott. Brambilla – possono essere utilizzate non solo per fare delle diagnosi, ma anche per effettuare delle terapie. La radiologia interventistica nasce circa 30 anni fa in campo vascolare con l’angioplastica: nel corso di un’angiografia, in qualunque distretto, si vide che si poteva trattare una stenosi (il restringimento di un’arteria) dilatando l’arteria con un palloncino e rompendo la placca arteriosclerotica. Da qui un’evoluzione che ha portato ai giorni nostri all’ampliamento della gamma di procedure della radiologia interventistica in diversi campi, utilizzando tecniche accomunate dal fatto di utilizzare guide, cateteri, palloncini, per effettuare degli interventi mini-invasivi attraverso degli accessi molto limitati (ad esempio le arterie) con l’ausilio dei raggi X. Si utilizzano apparecchi di radioscopia televisiva sui cui monitor si possono seguire i cateteri, le guide, il contrasto iniettato”.
I campi di applicazione
“Grande utilizzo della radiologia interventistica – prosegue il dott. Giorgio Brambilla si ha in campo vascolare: arterie profonde, aorta, arterie iliache, renali, carotidi, le coronarie. Le arterie ristrette possono essere dilatate, quelle chiuse possono essere riaperte, dilatate e fornite di stent (maglie metalliche che permettono al sangue di fluire e impediscono all’arteria di richiudersi). Tutte queste procedure vengono solitamente effettuate attraverso l’inserimento di un catetere nell’arteria femorale, in anestesia locale. In alternativa alla femorale si possono usare l’arteria brachiale o quella ascellare. Tramite i cateteri, che oggi sono di calibro sempre più sottile, si può raggiungere qualunque punto del corpo ed effettuare l’intervento necessario. Si può quindi procedere alla dilatazione e all’apertura di un’arteria stenotica, ma anche alla chiusura di un’arteria che è patologicamente aperta: ad esempio in caso di emorragia da trauma del bacino o degli arti, o anche del rene o del fegato, in caso di fistole arterovenose, oppure per il trattamento di aneurismi cerebrali. Questa procedura si chiama di embolizzazione e viene svolta con molto minor rischio e in modo meno invasivo per il paziente nei confronti di un intervento chirurgico vero e proprio, che in taluni casi sarebbe addirittura impossibile.
Un altro esempio di applicazione dell’embolizzazione è costituito dal varicocele (dilatazione e flusso controcorrente della vena spermatica interna), che può essere trattato con un intervento di radiologia interventistica invece che attraverso una legatura chirurgica.
Si interviene anche nel trattamento dei tumori del fegato, attraverso la chemio-embolizzazione: si inietta una miscela con un farmaco chemioterapico e si chiudono i rami tumorali del nodulo, allo scopo di mandare in necrosi il tumore.
Una procedura di radiologia interventistica relativamente nuova è il posizionamento delle endoprotesi dell’aorta toracica o addominale, per il trattamento degli aneurismi. Invece di aprire il torace o l’addome, si introduce attraverso l’arteria femorale una protesi, una maglia compressa che una volta in sede viene espansa e può aderire alla parete del vaso escludendo l’aneurisma dal circolo.
Anche in campo biliare si può intervenire radiologicamente, con un approccio diverso rispetto a quello vascolare: attraverso la puntura del fegato, effettuata con un ago sottile, ci si introduce nelle vie biliari per realizzare un drenaggio, temporaneo o definitivo, ad esempio in caso di ittero ostruttivo (ostacolo nel flusso della bile a causa di un calcolo o di un tumore).
Un altro campo di applicazione è quello urinario, con procedure volte ad esempio a sciogliere i calcoli o a disostruire gli ureteri”.
L’intervento del radiologo
“La radiologia interventistica è un settore sempre più vasto ed estremamente promettente della disciplina radiologica, in cui il radiologo opera per eseguire veri e propri interventi con la minore invasività possibile. In molti di questi campi ci si può trovare di fronte a un conflitto di competenze, ma sta nell’intelligenza degli operatori adottare invece una strategia di collaborazione. In ambito vascolare può essere infatti il chirurgo vascolare a effettuare in taluni centri le procedure interventistiche (chirurgia endovascolare), che in altre strutture sono eseguite dal radiologo. La cosa migliore a mio parere è la collaborazione: ci sono patologie, quali gli aneurismi aortici, che possono essere trattate nel modo migliore con l’intervento congiunto dei due specialisti. Diverso è il discorso per quanto concerne il cuore e le coronarie: in questo caso è ormai prassi comune che sia il cardiologo a effettuare le procedure interventistiche (angioplastica e stenting coronarico) e può essere opportuno che egli non si allarghi a trattare patologie di altri organi o apparati che abitualmente non conosce così a fondo come il cuore. In campo urologico poi è spesso l’urologo a effettuare molte procedure di tipo interventistico. Collaborazione comunque resta, secondo me, la parola chiave”.
Di Elena Villa
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