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Perché l’obesità è una patologia complessa

L’obesità è spesso stata considerata solo come fattore di rischio per l’insorgenza di altre malattie e condizioni e la sua diagnosi usa un approccio altrettanto semplicistico, anche se ancora usato a livello internazionale, quale il parametro antropometrico dato dall’indice di massa corporea (BMI). In realtà, come sostenuto dal rapporto della Lancet Diabetes & Endocrinology Commission dal titolo Definition and diagnostic criteria of clinical obesity, pubblicato sulla rivista The Lancet – Diabetes and Endocrinology, oggi è importante dare una dignità nosografica alla malattia ed è stata proposta la definizione di “obesità clinica”, che fornisce un’identità clinica a una patologia complessa cronica e recidivante che comporta segni e sintomi specifici e delle disfunzioni d’organo direttamente associate all’eccesso di adipe, e di “obesità preclinica”, una condizione che si associa a un aumento del rischio di obesità clinica e quindi di alcune patologie, come tumori, patologie metaboliche, renali e cardiovascolari.

Ne parliamo con il professor Roberto Vettor, Responsabile Scientifico del Centro per le Malattie Metaboliche e della Nutrizione presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano e membro della Commissione.

Che cos’è l’obesità clinica

L’obesità è una malattia cronica complessa e in progressivo aumento a livello globale, per la cui diagnosi non ci si può basare soltanto sul BMI, che rischia invece, a seconda dei casi, di sovra o sottostimare l’impatto dell’adiposità sulla salute generale della persona. Questa misurazione risulta infatti inadeguata a valutare correttamente gli effetti dell’eccesso di grasso corporeo sulla funzionalità degli organi e dei tessuti dell’organismo. Al BMI, allora, vanno affiancati altri criteri diagnostici e misurazioni, come la circonferenza vita-fianchi, il rapporto circonferenza vita/altezza o rilevazioni strumentali dirette quali la bioimpedenziometria (BIA) e la densitometria (DEXA), correlandoli a sesso, età ed eventuali altri fattori. Quando si parla di obesità, infatti, non si parla di un semplice aumento di peso corporeo, ma di una patologia complessa che richiede dei criteri di diagnosi oggettivi e una strategia terapeutica mirata.

L’obesità clinica è una patologia cronica e sistemica, caratterizzata da un importante eccesso di adipe, provocato da cause multifattoriali, tra cui un particolare background genetico, abitudini alimentari errate e la sedentarietà, che comporta alterazioni nella funzionalità di organi e tessuti con sintomatologia specifica e/o limitazione nello svolgimento delle normali attività quotidiane, anche quelle di sussistenza e cura personale.

Per la sua complessità l’obesità comporta una presa in carico multidisciplinare che comprenda medici internisti, cardiologi, oncologi, endocrinologi, epatologi, pneumologi, nefrologi, chirurghi generali e bariatrici, dietisti e psicologi, al fine di accompagnare il paziente in un percorso completo che gli assicuri il miglior risultato possibile.

Obesità e stigma sociale

La negazione dell’obesità come malattia e lo stigma non solo sociale, ma anche sanitario nei confronti dell’obesità comportano un ritardo nella presa in carico e un’inerzia terapeutica già ampiamente superati per altre malattie croniche non comunicabili, come per esempio il diabete o l’ipertensione. L’obesità è spesso accompagnata da uno stigma sociale, per cui le persone che ne sono interessate si trovano a dover affrontare biasimo e/o condizioni di esclusione sociale, sia in ambito familiare e lavorativo o scolastico, sia in ambito sanitario. Identificare l’obesità come una patologia cronica con dei criteri diagnostici definiti al di fuori del solo BMI, non solo promuove un miglioramento di diagnosi e terapie, ma dà un valore distintivo e dignità a questa importante patologia riducendo gli atteggiamenti e i momenti stigmatizzanti.

La riduzione del pregiudizio e dello stigma sulle persone con obesità non passano soltanto attraverso una nuova definizione della patologia da un punto di vista clinico, ma anche promuovendo attivamente un linguaggio rispettoso, per prima cosa, all’interno del contesto sanitario: da paziente obeso a paziente o persona con obesità.

I rischi legati all’obesità

Queste predisposizioni alla disfunzione d’organo e alle complicanze sono parte integrante della fisiopatologia e della storia naturale dell’obesità clinica. Tra i danni d’organo che caratterizzano l’obesità si ricordano:

L’osteoartrite, che colpisce in particolare le articolazioni grandi e portanti come fianchi e ginocchia, si sviluppa come effetto diretto dell’aumento delle dimensioni e del peso del corpo sulle articolazioni. Comporta la riduzione delle attività della vita quotidiana, a causa delle riduzione nei movimenti con aggravamento del sovrappeso e del decondizionamento dei muscoli scheletrici, che porta alla obesità cosiddetta sarcopenica.

L’ostruzione delle vie aeree superiori causata dall’aumento della massa grassa, in particolare nel collo, influisce direttamente sulla funzionalità delle vie aeree determinando lo sviluppo di disturbi respiratori nel sonno, che vanno dal russare con aumentata resistenza delle vie aeree superiori, all’apnea notturna ostruttiva e alla sindrome da ipoventilazione dell’obesità. La presenza di disturbi respiratori del sonno con l’ipossia ricorrente e l’attivazione del sistema nervoso simpatico contribuiscono allo sviluppo di ipertensione, sindrome metabolica e diabete di tipo 2. L’aumento dell’adiposità intra-addominale e centrale agisce inoltre sulla compliance diaframmatica e sulla funzionalità polmonare con mancanza di respiro, specialmente durante periodi di maggiore richiesta di ossigeno come l’attività fisica.

Il linfedema degli arti inferiori è fortemente associato all’obesità grave, in particolare nella popolazione femminile; si sviluppa a causa della compressione meccanica dei vasi linfatici e del drenaggio ridotto, con sensazioni di dolore, tensione o entrambi, con conseguente riduzione dell’ampiezza del movimento. Il lipedema è un disturbo doloroso caratterizzato da accumulo simmetrico di tessuto adiposo sottocutaneo nelle gambe, che si verifica quasi esclusivamente nelle donne. Nella sua fase avanzata, il lipedema può essere accompagnato da linfedema.

Dati epidemiologici, genetici e sperimentali sottolineano l’esistenza di un forte legame tra obesità e insufficienza cardiaca. La perdita di peso indotta da farmaci e dallo stile di vita produce miglioramenti relativamente rapidi e considerevoli nei principali sintomi dell’insufficienza cardiaca in particolare nei pazienti con insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata. L’obesità probabilmente accelera l’insufficienza cardiaca attraverso effetti emodinamici, metabolici, infiammatori e meccanici, L’obesità è anche associata alla fibrillazione atriale che può beneficiare da una perdita di peso superiore del 10%. L’obesità aumenta il rischio di tromboembolia, dovuto agli effetti meccanici che influenzano il flusso sanguigno negli arti inferiori e alla secrezione di fattori pro trombotici dal tessuto adiposo viscerale.

L’iperglicemia (disglicemia o inappropriata glicemia a digiuno o prediabete) derivante dalla coesistenza di resistenza all’insulina e disfunzione delle cellule β che originano dalla malattia dell’organo adiposo con deposito di grasso ectopico all’interno delle stesse isole pancreatiche. La persistenza di tali alterazioni può accelerare la comparsa di un diabete mellito di tipo 2.

La dislipidemia aterogena associata all’obesità o al grasso ectopico è caratterizzata da: ipertrigliceridemia (chilomicronemia) postprandiale, alte concentrazioni di trigliceridi plasmatici e particelle VLDL di grandi dimensioni; bassa concentrazione di colesterolo HDL e aumento della concentrazione di LDL piccole e dense (e quindi del numero di particelle patogene contenenti apolipoproteina B).

Sia i maschi sia le femmine possono avere disfunzioni gonadiche derivanti dai complessi adattamenti ormonali legati all’obesità. L’obesità può essere una causa di infertilità. Nelle femmine, la disfunzione ormonale del tessuto adiposo e l’iperinsulinemia e la resistenza all’insulina costituiscono i principali collegamenti allo sviluppo di iperandrogenismo funzionale o sindrome dell’ovaio policistico. Nei maschi, l’obesità è una causa di ipogonadismo ipogonadotropo che determina disturbi della spermatogenesi e disfunzione erettile.

L’accelerato flusso di substrati lipidici a livello epatico con la flogosi e fibrosi conseguenti può portare allo sviluppo di malattia epatica associata a disfunzione metabolica (MASLD) che può progredire in steatoepatite (MASH) con gradi crescenti di fibrosi aumentando il rischio di  cirrosi, insufficienza epatica e carcinoma epatocellulare.

La presenza di un danno renale caratterizzato da glomerulopatia correlata all’obesità può portare a malattia renale allo stadio terminale. La causa è complessa e sembra essere correlata a processi metabolici od ormonali (ad esempio, aumento dell’attività simpatica, attivazione del sistema renina-angiotensina e resistenza all’insulina), emodinamici e infiammatori che si sviluppano a seguito dell’aumento della massa grassa. L’incontinenza urinaria è comune nelle donne con obesità e si sviluppa a causa dell’elevata pressione intra-addominale combinata con disfunzione del pavimento pelvico.

L’ipertensione intracranica idiopatica, che in genere si presenta con mal di testa progressivi e gravi, perdita della vista dovuta a papilledema o entrambi, è una conseguenza meno comune ma grave dell’obesità.

L’obesità spesso genera disabilità che limita le attività di routine della vita quotidiana, compresi gli aspetti legati alla gestione della malattia stessa, come l’attività fisica, la preparazione dei pasti e l’accesso alle cure. Si può arrivare a limitare la mobilità, l’equilibrio e l’ampiezza dei movimenti, compromettendo le attività di cura di sé, tra cui l’igiene personale. Il dolore cronico correlato all’obesità clinica può contribuire alla compromissione funzionale.

Un fattore importante che contribuisce all’obesità è lo stress psicologico, che può portare a un’alimentazione incontrollata. Lo stress psicologico modifica non solo la quantità di cibo ingerito, ma influenza anche i modelli alimentari dalle diete raccomandate a cibi più dolci e grassi. Esiste una forte associazione tra alimentazione disordinata e mancanza di esercizio fisico, che può esacerbare i livelli di stress, causando inoltre un aumento dell’assunzione di cibo. Obesità e depressione hanno relazioni bidirezionali con una prevalenza crescente e condividono una serie di presunti percorsi patogenetici. Le condizioni correlate all’obesità (tra cui disturbi del sonno, comportamenti e disturbi alimentari, disabilità, stigma del peso, bassa autostima e compromissione psicosociale) agiscono compromettendo la qualità della vita con entrambe le condizioni, indipendentemente da altri fattori causali. Sfortunatamente, molti farmaci utilizzati per trattare i disturbi di salute mentale promuovono l’aumento di peso, esacerbando l’obesità.

L’integrità della pelle è compromessa dall’obesità. La maggior parte dei problemi si riscontra nelle aree di contatto pelle a pelle, tra cui sotto il seno e nelle ascelle, inguine, cosce e parte inferiore dell’addome. Lo sfregamento e l’eccessiva umidità danneggiano la pelle, causando infiammazione ed eruzione cutanea (ad esempio, intertrigine), che predispongono la pelle a infezioni fungine e batteriche. L’integrità della pelle è inoltre compromessa da insufficienza venosa degli arti inferiori, linfedema e lipedema.

Tumori: obesità come fattore di rischio per lo sviluppo di neoplasie 

L’obesità, come abbiamo detto, si associa all’aumento del rischio di insorgenza di varie patologie, come ipertensione, patologie cardiovascolari, respiratorie e psichiche e alcuni tumori. L’obesità è infatti il secondo fattore di rischio, tra quelli classificati come “evitabili”, per determinati tumori (almeno 13), come quelli dell’apparato digerente (tumore di esofago, stomaco, pancreas, fegato, colecisti e colon-retto), quelli che interessano la popolazione femminile (tumore di seno, ovaio e utero) e quelli di tiroide, rene e, nella popolazione maschile, prostata. Tra gli altri tumori che possono avere rischio aumentato in presenza di obesità ci sono anche il meningioma, il mieloma multiplo e la leucemia promielocitica acuta, ma il legame è meno importante rispetto agli altri tumori menzionati.

Questa associazione tra obesità e tumori si può correlare all’aumento di stato infiammatorio (in particolare quando si parla di tumori dell’apparato digerente) e di sovrapproduzione di ormoni sessuali e della crescita che l’eccesso di grasso corporeo provoca. In questi casi, infatti, le cellule tendono ad aumentare i cicli riproduttivi, rischiando di arrivare a una moltiplicazione incontrollata e alla produzione di cellule tumorali. Inoltre, anche l’aumento di rischio di diabete associato alla minor capacità di assorbimento degli zuccheri causata dall’obesità, può rappresentare un ulteriore fattore di rischio per l’insorgenza di tumori, in particolare quelli di rene e colon. È importante anche segnalare come i tumori da cui sono interessate le persone con obesità tendono a essere di maggior aggressività, così come in questi pazienti è anche frequente l’insorgenza di recidive di malattia. Anche le complicanze in fase di trattamento sono maggiori in presenza di obesità, in particolar modo perché l’eccesso di adipe può alterare la distribuzione dei farmaci nell’organismo, rendendone più complicato il dosaggio. La correlazione tra obesità e tumori in età adulta riguarda anche l’obesità infantile: chi presenta da bambino un eccesso importante di adiposità, infatti, può mantenerlo anche successivamente, con un conseguente rischio aumentato per le patologie di cui abbiamo parlato. Non sono invece evidenziate correlazioni tra tumori pediatrici e obesità infantile.

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