La mononucleosi è una malattia infettiva piuttosto comune, che interessa la maggior parte delle persone, in particolare in Occidente nel periodo tra l’adolescenza e i 30 anni (ma non solo). Si tratta di un’infezione provocata da un herpes virus, quello di Epstein-Barr (EBV), può essere quasi del tutto asintomatica oppure presentarsi come una sindrome simil-influenzale.
Quali sono i sintomi della mononucleosi e come avviene la trasmissione del virus? Ne parliamo con due specialisti dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano: il dottor Davide Bavaro, infettivologo, e il professor Alessio Aghemo, Responsabile di Epatologia.
Mononucleosi: quali sono i sintomi
La mononucleosi è spesso asintomatica, altrimenti si manifesta con sintomi lievi e passeggeri, come per esempio:
- debolezza
- stanchezza
- febbre
- ingrossamento dei linfonodi e della milza.
L’infezione può durare da una due settimane a un mese, per favorire la guarigione ed evitare che i sintomi si prolunghino, è bene riposare e seguire le indicazioni fornite dal medico.
La mononucleosi è pericolosa?
Di rado la mononucleosi causa complicazioni, tuttavia quando presenti possono essere potenzialmente serie, come:
- epatite
- anemia emolitica e trombocitopenia
- miocardite
- sindrome di Guillain-Barré
- meningite
- encefalite
- splenomegalia e rottura della milza
- sovrainfezioni batteriche.
Una spia dei disturbi al fegato è generalmente il cambiamento di colorito della pelle, che in questi casi tende al giallo (ittero), mentre la rottura della milza provoca sintomi come dolore acuto all’area sinistra dell’addome e severa debolezza generalizzata. In particolare, la rottura della milza causa un’emorragia interna, per cui è necessario l’immediato accesso al Pronto Soccorso e un intervento chirurgico d’urgenza.
Mononucleosi: come si prende
La mononucleosi ha un tempo di incubazione che va dai 30 ai 50 giorni. La fonte di trasmissione primaria della mononucleosi è la saliva: la patologia può quindi propagarsi da una persona infetta a una non infetta tramite baci sulla bocca, utilizzo in comune di stoviglie, spazzolini e strumenti per l’igiene personale, utilizzo in comune di giochi se parliamo di bambini. Attenzione, inoltre, anche alle goccioline di saliva che si disperdono per aria quando si parla o si tossisce: stare a stretto contatto con una persona con mononucleosi, in particolare in ambienti al chiuso, può comportare la trasmissione per via aerea del virus.
Sebbene, quindi, si tratti di una patologia piuttosto difficile da evitare, soprattutto per la diffusione di particelle di saliva nell’aria che non può essere sempre evitata (soprattutto se chi è infetto non sa di esserlo), vi sono alcune buone norme che possono essere messe in atto per diminuire le probabilità di contagio. Evitare di condividere stoviglie e posate sia a casa, sia fuori casa, può essere importante per contenere la diffusione del virus, così come non condividere oggetti per l’igiene personale. Le persone, che, invece, presentano sintomi riconducibili alla mononucleosi devono fare riferimento al medico di medicina generale, effettuare i test necessari alla diagnosi, ed evitare di frequentare luoghi dove il virus potrebbe propagarsi (per esempio scuole o uffici).
È bene inoltre ricordare che il virus è eliminato attraverso la saliva per molti mesi dopo l’infezione. Le persone che hanno contratto l’infezione nel corso della loro vita eliminano periodicamente virus capace di infettare anche se asintomatici: per questo l’infezione è estremamente diffusa nella popolazione umana.
Come si cura e quanto dura la mononucleosi
La mononucleosi non viene trattata con una terapia specifica ma tende a risolversi naturalmente. Possono essere utili per la gestione dei sintomi farmaci antinfiammatori e antipiretici.
In alcuni casi può essere indicata terapia corticosteroidea per ridurre l’infiammazione e favorire la risoluzione dei sintomi. Di rado occorre una terapia antibiotica per il trattamento di sovrainfezioni batteriche.
L’infiammazione del fegato si risolve spontaneamente senza lasciare danni permanenti. In presenza di un coinvolgimento della milza, per evitare il rischio di rottura, è importante limitare gli sforzi fisici e i traumi addominali fino alla risoluzione della splenomegalia (ingrossamento della milza) verificata con un’ecografia.
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