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Malattie infiammatorie croniche: quali sono e cosa comportano

Oltre 5 milioni di persone sono i pazienti che in Europa convivono con le malattie infiammatorie croniche, patologie accomunate da una condizione infiammatoria cronica associata a una reazione immunitaria anomala indirizzata contro l’organismo. Artrite reumatoide, malattie infiammatorie croniche intestinali, come colite ulcerosa e malattia di Crohn, psoriasi e artrite psoriasica, comportano una gestione quotidiana di sintomi dolorosi o invalidanti, compromettono la qualità di vita dei pazienti, sono un fattore di rischio per lo sviluppo di comorbidità, come malattie cardiovascolari e tumori, e pesano sulla vita delle famiglie, con ricadute importanti sul versante socio-economico.

Negli ultimi anni l’attenzione per queste malattie è cresciuta, mentre la Ricerca ha compiuto enormi progressi nella conoscenza dei meccanismi che sottendono all’infiammazione acuta e cronica e ha portato a sviluppare opzioni terapeutiche in grado di intervenire sul processo infiammatorio. Ne parliamo con alcuni specialisti dell’Istituto Clinico Humanitas, Centro di eccellenza per la ricerca e il trattamento delle malattie infiammatorie.

L’infiammazione alla base delle malattie infiammatorie croniche

Il meccanismo sotteso a queste malattie è l’infiammazione, che va valutata considerando sia le cause, tra cui quelle ambientali, che le conseguenze su tutto l’organismo, secondo un approccio integrato e multidisciplinare che privilegia la continuità e le interrelazioni tra le diverse malattie infiammatorie croniche.

“L’infiammazione è un meccanismo di difesa innato non specifico, che costituisce una risposta protettiva dell’organismo all’azione di un danno operato da un agente estraneo per eliminare la causa iniziale del danno cellulare o tessutale e l’avvio del processo riparativo le cellule infiammatorie peculiari dell’immunità innata, come macrofagi, neutrofili iniziano a produrre citochine in risposta ad uno stimolo che può essere infettivo, chimico, non infettivo”, afferma Maria Rescigno, Capo Laboratorio di Immunologia delle Mucose e Microbiota di Humanitas e Prorettore Vicario con delega alla Ricerca di Humanitas University.

“Quando l’infiammazione acuta non si risolve, subentra un’infiammazione cronica che consiste in un processo flogistico di lunga durata in cui coesistono l’infiammazione attiva, la distruzione tissutale e i tentativi di riparazione”.

Tra i fattori che determinano l’infiammazione, negli ultimi anni è cresciuta l’attenzione per il ruolo svolto dal microbiota, l’insieme variegato di microrganismi che vivono in simbiosi con noi, nell’intestino ma anche in tutte le superfici esposte all’ambiente esterno. Una variazione del microbiota intestinale può determinare un’infiammazione che dall’intestino tende a propagarsi anche ad altri organi. Un recente studio realizzato da Humanitas e pubblicato sulla rivista Science dimostra che nei casi di colite ulcerosa, per impedire il propagarsi di una forte infiammazione intestinale, il cervello chiude una sorta di cancello posto nel plesso coroideo, con conseguenti stati di simil-ansia e depressione. Effetti spesso riscontrati nei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali.

Malattie croniche intestinali: sintomi e complicanze

Le persone che in Italia convivono con malattie infiammatorie croniche intestinali sono oltre 250.000, delle quali un 60% circa con colite ulcerosa e il restante 40% con malattia di Crohn. Queste malattie, in forte aumento nei Paesi a economia avanzata, si manifestano soprattutto con diarrea, spesso accompagnata da tracce di sangue, dolori addominali, vomito, astenia, febbre, e sono caratterizzate dall’alternanza tra periodi di riacutizzazione e periodi di remissione. Fino al 40% dei pazienti con malattia di Crohn può andare incontro a resezione dell’intestino entro 10 anni, e fino al 20% dei pazienti con colite ulcerosa può andare incontro a colectomia entro 10 anni.

Ma l’impatto di queste malattie va oltre il distretto intestinale: “In oltre il 40% dei casi le malattie infiammatorie croniche intestinali sono accompagnate da manifestazioni extraintestinali immunomediate associate. Fino al 30% dei pazienti può avere artrite, il 10% manifestazioni cutanee immunomediate, il 5-6% infiammazioni alle vie biliari e al fegato. Per questo non si può prescindere da un approccio multidisciplinare che comporta esiti migliori nell’individuazione di eventuali manifestazioni extraintestinali associate, ma anche nella loro gestione”, dichiara Alessandro Armuzzi, Responsabile Unità Operativa Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali di Humanitas, co-direttore dell’IBD Center di Humanitas e docente di Humanitas University.

“L’obiettivo della terapia resta la remissione prolungata nel tempo, che significa assenza di sintomi, sia quelli direttamente riferiti dal paziente sia in termini di anatomia della malattia, ovvero il ripristino della normale integrità della mucosa intestinale, senza diarrea e senza sanguinamento”.

Le possibilità offerte dalla chirurgia

Uno tra gli strumenti sempre più considerati per indurre la remissione è la chirurgia, che per alcuni pazienti con MICI rappresenta l’opzione migliore.

“Ormai la chirurgia non è più considerata come l’unica opzione, ‘l’ultima spiaggia’ dopo aver esaurito le opzioni disponibili, quando il paziente era completamente defedato dai sintomi della malattia e dalla mancata risposta e immunosoppresso dalle terapie mediche, con inevitabili cattivi risultati”, illustra Antonino Spinelli, Responsabile Unità Operativa Chirurgia del Colon e del Retto di Humanitas, co-direttore dell’IBD Center di Humanitas e docente di Humanitas University.

“Oggi, grazie anche all’approccio multidisciplinare alle malattie infiammatorie croniche intestinali, che mette insieme le competenze di gastroenterologi e chirurghi, la chirurgia, sempre meno invasiva, è un’arma che può essere utilizzata in qualunque momento del percorso terapeutico, a seconda delle necessità del singolo paziente”.

Deformità e dolori articolari: l’artrite reumatoide

L’artrite reumatoide si caratterizza per l’impatto sulla qualità di vita: deformità e dolori articolari se non adeguatamente trattati, possono influire sulla capacità del paziente di svolgere le normali attività quotidiane e limitare le opportunità di lavoro, fino a ostacolare l’espletamento delle mansioni domestiche e familiari. L’avvento delle nuove opzioni terapeutiche ha però modificato un percorso che fino a pochi anni fa sembrava ineluttabile.

“Per i pazienti con diagnosi di artrite reumatoide oggi le buone notizie sono numerose: l’elemento più importante è che oggi il percorso dei pazienti non porta alle deformità che possono essere viste sulla rete, grazie ai farmaci biologici e alle piccole molecole che sono in grado di fermare l’infiammazione e quindi la progressione della malattia e hanno fatto crollare la curva degli interventi chirurgici per risolvere queste deformità”, afferma Carlo Selmi, Responsabile Unità Operativa di Reumatologia e Immunologia Clinica di Humanitas e docente Humanitas University.

“Ma le note positive sono anche altre: le diagnosi sono molto più precoci, grazie alle maggiori conoscenze e alle nuove tecnologie diagnostiche; il cortisone è utilizzato in misura molto ridotta rispetto al passato, evitando ai pazienti gli effetti collaterali a medio e lungo termine; e le pazienti in età fertile oggi possono pianificare una gravidanza di successo, concordando i tempi e sincronizzando le terapie affinché non siano dannose per il feto”.

La psoriasi e le alterazioni del microbiota

I meccanismi infiammatori, insieme a fattori scatenanti come infezioni, stress e alterazioni del microbiota, sono all’origine delle malattie immunomediate della pelle come la psoriasi, che in Italia colpisce circa 2 milioni di persone, e l’artrite psoriasica. La psoriasi è una malattia sistemica nella quale il processo infiammatorio interessa non solo la pelle, ma anche altri distretti e organi. Soprattutto in età giovanile questa patologia è associata a un aumentato rischio di eventi cardiovascolari acuti e nel 20-30% dei casi i pazienti con psoriasi possono sviluppare artrite psoriasica. Inoltre, nei pazienti con psoriasi, soprattutto nella forma moderata-severa, è possibile riscontrare un’infiammazione subclinica intestinale, mentre il 3% dei pazienti con malattie infiammatorie croniche intestinali ha anche la psoriasi.

“Il legame tra i processi infiammatori intestinali e quelli della pelle è dimostrato ed è quindi fondamentale che i pazienti con malattie immunomediate vengano valutati da più punti di vista e presi in carico da un team multidisciplinare deputato a coordinare la terapia e il follow-up. Le figure mediche professionali che normalmente seguono i pazienti con psoriasi e artrite psoriasica sono il dermatologo e il reumatologo ma ci confrontiamo anche con il gastroenterologo, per migliorare sensibilmente l’infiammazione nel paziente con malattia di Crohn e colite ulcerosa, grazie a terapie combinate, che colpiscono più aree agendo su un meccanismo fondamentale dell’infiammazione patogenetica”, spiega Antonio Costanzo, Responsabile Unità Operativa di Dermatologia di Humanitas e docente di Humanitas University.

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