Abbiamo parlato di malattie infiammatorie croniche intestinali e soprattutto di malattia di Crohn insieme agli specialisti di Humanitas.
Le malattie infiammatorie croniche intestinali
Distinguiamo malattia di Crohn e rettocolite ulcerosa; esiste poi una terza patologia definita colite indeterminata perché a causa delle sovrapposizioni tra le due patologie non sempre riusciamo a dare un’etichetta precisa, ma questo avviene solo nel 5-10% dei casi.
Le malattie croniche intestinali registrano un forte aumento, un aumento che si stima essere di 20-30 volte negli ultimi 50 anni. Questo fenomeno però non riguarda solo la malattia di Crohn e la rettocolite ulcerosa, ma è comune a tante malattie autoimmuni, come l’asma, la sclerosi multipla e il diabete giovanile. Nel caso delle malattie intestinali potrebbero giocare un ruolo importante alcuni fattori ambientali: è ben noto per esempio che l’uso ripetuto di antibiotici in età infantile aumenti il rischio di Crohn in età adulta perché la flora intestinale subisce cambiamenti drammatici a ogni ciclo di antibiotico. Un altro fattore di rischio è il fumo, anche se il suo ruolo non è ancora chiaro; nella malattia di Crohn peggiora i sintomi, nella rettocolite li migliora, ma in ogni caso è fondamentale non fumare.
Per quanto riguarda l’incidenza, ci sono due picchi ben riconosciuti: dai 25 ai 45 anni e uno tardivo, tra i 65 e i 75 anni di età. La novità è che si registra un’alta incidenza di queste patologie anche nei bambini, con un fortissimo aumento. E anche in questo caso, il fenomeno è comune ad altre patologie autoimmuni.
I sintomi della malattia di Crohn
L’intestino risponde spesso allo stesso modo, per cui i sintomi sono molto sfumati e ne sono un esempio l’alterazione della regolarità e la presenza di dolore addominale; possono poi esserci sintomi più specifici, come febbre, vomito, inappetenza, stanchezza e dimagrimento. In presenza di questi sintomi è molto importante parlarne con il medico o rivolgersi allo specialista: recarsi nei Centri specialistici significa avere accesso precoce alle terapie migliori e questo può davvero cambiare l’evoluzione della malattia.
Gli esami per la diagnosi
Per la diagnosi in genere viene eseguita una colonscopia con biopsie; è di grande aiuto anche la radiologia, per esempio con l’ecografia delle anse intestinali, la risonanza magnetica, la TAC. Si fanno poi spesso esami di laboratorio, come l’emocromo, oppure si possono valutare parametri di infiammazione come la proteina C reattiva; ci sono anche esami delle feci molto specifici in grado di misurare l’infiammazione intestinale. È bene sottolineare però che, purtroppo, non esiste un test diagnostico e la diagnosi procede come un puzzle, mettendo insieme pezzo dopo pezzo tutte le informazioni, al fine di identificare la malattia il prima possibile.
Spesso ai pazienti con malattia di Crohn viene erroneamente diagnosticata la sindrome dell’intestino irritabile perché i sintomi del Crohn non sono sempre così evidenti. Si calcola che un paziente su 4 ha un ritardo diagnostico di oltre 5 anni e talvolta questi pazienti arrivano in pronto soccorso a causa delle complicanze della malattia che a questo punto non risponde più alla terapia farmacologica. Controllare la malattia con i farmaci innovativi resta invece il principale obiettivo.
Colonscopia: che cos’è e come funziona
La colonscopia è un esame endoscopico che si avvale di un tubicino dotato di telecamera che consente di visualizzare le pareti del colon e del piccolo intestino, alla ricerca di lesioni polipoidi, diverticoli o infiammazione. L’esame dura circa 20 minuti e rispetto al dolore che si può avvertire nel corso della sua esecuzione entra in gioco la soggettività del paziente; alcuni pazienti non eseguono alcuna sedazione, ma è comunque possibile sottoporsi all’esame in condizioni di sedazione cosciente oppure profonda, con l’aiuto dell’anestesista. Dopo l’esame si può avvertire un certo gonfiore a causa dell’immissione di aria e acqua necessaria per visualizzare le pareti intestinali, ma nel giro di un paio d’ore la situazione torna alla normalità.
Chirurgia, cura farmacologica e Ricerca
In passato si pensava che la malattia di Crohn dovesse avere sempre un trattamento chirurgico con l’obiettivo di rimuovere la parte di intestino infiammato e risolvere così il problema. In realtà non è più così, anche perché la malattia può ripresentarsi dopo un intervento e il paziente non può subire tante operazioni chirurgiche. Oggi la chirurgia è mininvasiva, in alcuni casi è capace di risparmiare l’intestino ed è una pratica complementare alla terapia medica.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica esistono farmaci di vecchia generazione (come i cortisonici e gli immunosoppressori) e farmaci nuovissimi, i cosiddetti farmaci biologici. Si tratta di farmaci intelligenti, in grado di spegnere gli interruttori dell’infiammazione in maniera selettiva; hanno maggior efficacia e riescono a cambiare la storia della malattia.
La Ricerca in questo campo procede e sperimenta farmaci in grado di bloccare più citochine (ovvero molecole dell’infiammazione) allo stesso tempo e dunque, anziché bloccare un interruttore alla volta, spengono tanti mediatori e questo si traduce in un controllo più profondo e più efficace dell’infiammazione. La ricerca, inoltre, utilizza le cellule staminali, che sembrano essere molto efficaci per la malattia fistolizzante di Crohn. Abbiamo poi il blocco selettivo di alcuni globuli bianchi, quelli che aggrediscono in maniera autoimmune l’intestino. È quindi un momento di grande ottimismo per i pazienti.
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