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Lussazione progressiva e ricostruzione dell’anca nella paralisi cerebrale infantile: due studi del prof. Nicola Portinaro e della sua équipe

In occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, che si è svolto a Bari dal 9 al 12 novembre, il professor Nicola Portinaro – Responsabile di Unità Operativa di Ortopedia Pediatrica in Humanitas – ha presentato i risultati di due ricerche, mai pubblicate in precedenza, sulla prevenzione della lussazione dell’anca, la prima, e sulla ricostruzione completa dell’anca nei casi di paralisi cerebrale infantile (PCI).

La lussazione progressiva dell’anca nella PCI

La lussazione progressiva dell’anca spastica – che è la deformità più frequente nella paralisi cerebrale infantile – è una lussazione non presente alla nascita, che si sviluppa progressivamente nel corso degli anni. I fattori scatenanti possono essere diversi, tra cui un controllo muscolare inadeguato, la spasticità e la retrazione dei muscoli, o ancora la mancanza di carico e le posture scorrette spesso assunte dai pazienti affetti da questa patologia. 

“Questi fattori possono innescare un processo in base al quale il femore si allontana progressivamente dalla sua sede fino alla completa lussazione, che si verifica quando la testa del femore è completamente fuori dall’acetabolo e i due capi articolari non sono più a contatto tra loro”, ha spiegato il professore.

Un’ intervento per prevenire e fermare la lussazione femorale

Grazie all’ emiepifisiodesi temporale mediale del femore prossimale (TMH-PF), è possibile mantenere o ripristinare il corretto rapporto tra il femore e l’acetabolo. Si tratta di un’ intervento chirurgico, praticato in Humanitas dal prof. Portinaro e dal suo team, che ha come obiettivo l’arresto o il rallentamento della crescita di una cartilagine. “La tecnica chirurgica consiste nell’inserire una vite cannulata nel collo del femore per impedire che che la testa femorale progressivamente esca dalla sua sede naturale”, ha spiegato il professore.

L’intervento viene eseguito in day hospital, senza ricovero quindi e con una degenza media successiva all’operazione di circa due ore. 

Il paziente non ha dolore grazie alla tecnica mini invasiva percutanea e la possibilità di carico già nella prima fase post operatoria.

I risultati della ricerca

Nello studio portato avanti tra il 2007 e il 2014 dal professor Portinaro insieme al suo team – presentato davanti alla platea del 103° Congresso Nazionale della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia – è emerso che “l’ emiepifisiodesi mediale del femore prossimale rappresenta un metodo efficace di prevenzione e trattamento per la progressiva lussazione dell’anca nei pazienti affetti da PCI, evitando o comunque ritardando gli interventi di chirurgia maggiore”, ha spiegato Portinaro.

La ricerca ha coinvolto 28 pazienti (18 maschi e 17 femmine); l’età media era di 7,5 anni, con un range tra i 4 e gli 11 anni, e le misurazioni radiografiche sono state eseguite in 4 fasi: pre operatoria e dopo 6, 12 e 60 mesi dall’intervento.  Le radiografie erano mirate a misurare alcuni indici che permettono di stabilire i rapporti tra testa femorale e acetabolo prima dell’intervento e a distanza di svariati anni (l’indice acetabolare (AI), la percentuale di migrazione (MP) e l’angolo cervico diafisario (NSA), per dimostrare l’efficacia dello stesso nel mantenere la testa femorale all’interno dell’acetabolo.

In tutti i pazienti l’intervento ha consentito di raggiungere perfettamente l’obiettivo di un totale contenimento dell’anca all’interno della della cavità acetabolare. 

La ricostruzione completa dell’anca

Si tratta di uno dei più importanti e impegnativi interventi nel campo dell’ortopedia pediatrica, per questo l’operazione viene effettuata da una équipe multidisciplinare e da un team molto affiatato. La tecnica utilizzata è quella di ridirezionare le ossa del femore e del bacino dopo averle sezionate, per far si che l’articolazione dell’anca sia di nuovo di forma e funzione normale.

I risultati della seconda ricerca

La seconda ricerca condotta dal prof. Portinaro e dal suo team in Humanitas ha riguardato la ricostruzione completa dell’anca per il trattamento, nei pazienti affetti da paralisi cerebrale infantile, in cui non si è riusciti a prevenire la lussazione.

In sette anni di studio e osservazione, tra il 2007 e il 2015, obiettivo del lavoro è stato quello di valutare i risultati della ricostruzione dell’anca come trattamento chirurgico nei bambini, già affetti da PCI, che hanno avuto una lussazione mono o bilaterale dell’anca. Lo studio ha coinvolto 66 pazienti (45 maschi e 21 femmine); l’età media dei pazienti era di circa 10 anni e i follow-up, con controlli radiografici, sono stati effettuati nell’arco dei 37 mesi successivi, a distanza di 6 e 12 mesi e successivamente ogni anno.

“I risultati del nostro studio dimostrano che questo intervento consente un miglioramento della conformazione delle anche e inoltre un miglioramento funzionale del paziente: dell’igiene personale in 61 pazienti (oltre il 90%); della seduta in 54 pazienti (oltre l’80%) e 3 pazienti hanno persino raggiunto un upgrade del loro indice GMFCS (la classificazione della Funzione Grosso Motoria che indica la maggiore o minore autonomia nei movimenti da parte di pazienti affetti da Paralisi Cerebrale Infantile, come le limitazioni funzionali e la necessità di dover utilizzare dispositivi mobili come deambulatori,  stampelle  o carrozzina)”, ha spiegato il prof. Portinaro.

“Si tratta del primo studio effettuato su un numero statisticamente significativo di pazienti affetti da PCI e operati con questa tecnica e i risultati hanno dimostrato che questa tipologia di intervento chirurgico può permettere a questi pazienti di ottenere significativi miglioramenti nelle loro attività quotidiane, nella postura e nella deambulazione – ha aggiunto il professore -. I rischi e le complicanze sono sempre presenti quando ci si sottopone a chirurgia, ma come è stato dimostrato in questo lavoro, si tratta di casi limitati e non gravi, a fronte degli importanti risultati che si possono ottenere in termini di miglioramento delle condizioni di vita dei pazienti affetti da PCI”, ha concluso il professore.

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