L’instaurarsi di una gravidanza comporta nella donna molti cambiamenti di natura fisiologica, ormonale e immunitaria. Non per tutte le donne affrontare una gravidanza è semplice o possibile; si pensi, per esempio, che fino ad alcuni anni fa, alle pazienti con Lupus eritematoso sistemico (LES) la gravidanza era sconsigliata per le diverse complicazioni e il rischio di aborti.
Oggi però le cose sono cambiate e come spiega il professor Carlo Selmi, Responsabile di Reumatologia e Immunologia Clinica in Humanitas e docente dell’Università degli Studi di Milano: “La pianificazione del concepimento e la gestione della gravidanza hanno permesso di dimezzare anche il rischio di aborti”.
La pianificazione della gravidanza
La pianificazione della gravidanza passa attraverso il confronto con il proprio reumatologo prima del concepimento. Alla luce dei fattori di rischio presenti, si effettuerà una valutazione rispetto a quale sia il momento migliore per ridurre al massimo i rischi per la mamma e per il feto e a come non utilizzare alcuni farmaci controindicati in gravidanza.
Prima del concepimento è necessario valutare la fase della malattia, la positività o meno a specifici anticorpi e la presenza di nefrite attiva: condizioni che richiedono particolari precauzioni.
Il monitoraggio del Lupus nel corso della gravidanza
Il Lupus richiederà poi un monitoraggio costante, con un approccio multidisciplinare, per tutta la gestazione.
Queste pazienti, infatti, oltre ai classici controlli che si effettuano in gravidanza, saranno sottoposte a esami e visite per il LES ogni 4-6 settimane che includono: valutazione ematologica, renale e biochimica, marcatori di infiammazione, livelli anticorpali anti-dsDNA. Sarà poi indicata l’esecuzione dell’ecoDoppler delle arterie ombelicali e uterine per stabilire il periodo ideale del parto, in genere cesareo, e ridurre così il rischio di patologie e mortalità del neonato.
Se il Lupus peggiora in gravidanza
Uno studio condotto dal Dipartimento di Reumatologia e Immunologia clinica di Humanitas in collaborazione con l’università della California, ha dimostrato che alterazioni fisiologiche in gravidanza potrebbero essere dovute a un inasprimento della malattia e rappresentare complicanze pericolose per la vita della mamma e del feto (la pre-eclampsia o gestosi gravidica e la sindrome HELLP che include emolisi, elevati livelli di enzimi epatici e basso dosaggio di piastrine).
Ne sono un esempio l’anemia del terzo trimestre, l’aumento dei livelli di infiammazione (citochine), i disturbi cutanei, la dispnea, il dolore articolare legato all’aumento del peso, le modificazioni del bacino e l’edema degli arti inferiori.
“Riconoscere quando la malattia autoimmune è responsabile di queste alterazioni, grazie a controlli periodici e specifici, diventa di fondamentale importanza per intervenire modificando la terapia. Infatti, se la pianificazione del concepimento permette la gestione delle terapie che potrebbero inibire l’impianto del feto, come per esempio i farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), obiettivo della gestione terapeutica è mantenere la patologia in uno stato remissivo, cioè non attivo, o trattare le complicanze senza danneggiare il feto”, ha concluso il professor Selmi.
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