I tumori uccidono sempre di meno. Il tumore al polmone, pur rimanendo il più diffuso, è in diminuzione nella popolazione maschile. Mentre i casi di cancro al seno hanno iniziato una fase decrescente, dopo un periodo di ascesa costante. Inoltre, secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità e dalla rivista scientifica americana Cancer Journal for Clinicians, le possibilità di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi sono praticamente raddoppiate negli ultimi anni.
Questi dati incoraggianti sono il risultato di programmi di screening e di sistemi diagnostici sempre più sofisticati, in grado di rilevare la presenza di noduli tumorali con grande anticipo. Non solo. Oggi i tumori possono essere sconfitti o bloccati grazie ai progressi compiuti nella chirurgia, sempre meno invasiva, nel campo della radioterapia, ancora più precisa, e ai nuovi chemioterapici, somministrati in modo mirato e con effetti collaterali estremamente ridotti. Ma le strategie e le armi innovative per sconfiggere le neoplasie arrivano soprattutto dalle ricerche compiute nel settore della genetica e della biologia molecolare.
“Nei prossimi anni, le prospettive di guarigione miglioreranno ulteriormente, soprattutto grazie alle nuove terapie ‘a bersaglio’”, spiega il dott. Armando Santoro, responsabile del Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia dell’Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, “basate sull’uso di molecole ‘intelligenti’ che, a differenza della chemioterapia, intervengono selettivamente sulle cellule tumorali e sui meccanismi che ne favoriscono lo sviluppo”. Questo gruppo di nuovi farmaci include gli antiangiogenetici, che agiscono sul sistema con cui il tumore costringe i vasi sanguigni a crescere e ad alimentarlo, le terapie ormonali e gli anticorpi monocolonali, che sono in grado di legarsi a specifici recettori sulla membrana delle cellule neoplastiche e impediscono la loro crescita o facilitano la loro distruzione.
“Già oggi otteniamo risultati importanti con questo tipo di molecole”, prosegue Santoro, “l’Herceptin, ad esempio, ha ridotto del 50 per cento il rischio di recidiva nella cura del tumore mammario operabile. E adesso stiamo sperimentando il Lapatinib, che si sta rivelando efficace nel contrastare le metastasi. Un anticorpo monoclonale, il Cetuximab, e un antiangiogenetico, il Bevacizumab, si sono dimostrati utili nella cura del tumore al colon. Ci sono poi due forme tumorali per le quali questi farmaci hanno aperto nuove prospettive. Per il carcinoma renale, contro il quale avevamo pochissimi strumenti a disposizione, oggi possiamo contare su due molecole: il Sunitinib e il Sorafenib. Quest’ultimo, in particolare, è la prima vera arma specifica che abbiamo a disposizione nel trattamento dell’epatocarcinoma, che colpisce circa 12 mila persone l’anno in Italia”.
I risultati della ricerca sul Sorafenib sono stati presentati nell’ultimo congresso dell’ASCO, a Chicago. Per quanto riguarda la cura del tumore del fegato, la molecola al momento è in via di registrazione. Ma in Humanitas è già stato attivato un protocollo che permette di utilizzare il farmaco in via sperimentale.
“Oltre che negli aspetti clinici, Humanitas è impegnata nella ricerca translazionale”, spiega Santoro, “che ha come obiettivo la trasformazione dei risultati teorici in soluzioni terapeutiche e il loro trasferimento dal laboratorio al letto del paziente nel minor tempo possibile. Ciò significa che conosciamo sempre più a fondo i processi biologici con cui agisce il tumore e quali effetti possono avere questi nuovi farmaci su di esso. Siamo in grado, così, di fornire una proposta terapeutica più mirata”.
In particolare la genetica ha offerto approcci innovativi per comprendere sia il rischio che ha ciascun individuo di sviluppare un determinato carcinoma, sia le caratteristiche specifiche della malattia. “La genetica ormai è in grado di fornirci una vera e propria carta di identità delle cellule tumorali e delle loro caratteristiche”, precisa Santoro, “ad esempio ci consente di identificare recettori specifici sui quali possiamo intervenire con i nuovi farmaci. In pratica conoscendo con precisione la ‘serratura’ attraverso cui possiamo spegnere il tumore, cerchiamo di identificare la ‘chiave’ adatta.
Non solo. In questo modo l’approccio terapeutico non sarà più determinato soltanto dalla localizzazione della patologia, ma delle sue caratteristiche biologiche. E questo ci consentirà di costruire cure sempre più su misura del paziente. Si tratta di risultati incoraggianti, dopo un periodo in cui c’era la sensazione di non riuscire a trovare soluzioni adatte innovative”, prosegue Santoro e conclude, “Ora queste nuove molecole, con una tossicità molto bassa e con un meccanismo di azione diverso, sono riuscite ad infrangere il ‘muro’ anche per alcune patologie per le quali la chemioterapia non era sufficiente. E la capacità che stiamo acquisendo di combinare al meglio le terapie di cui disponiamo ci consentirà ulteriori progressi”.
Di Carlo Falciola
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