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La ricostruzione della mammella dopo il tumore al seno: ecco perché è importante

Il percorso per affrontare un tumore al seno può richiedere anche l’asportazione di una parte o di tutto il seno. Un passaggio delicato per una donna, sia fisicamente sia psicologicamente. Grazie alla collaborazione tra la chirurgia plastica ricostruttiva e la chirurgia plastica estetica però (di fatto due facce della stessa branca), è possibile ricostruire il seno, nel rispetto della fisicità della paziente, della sua sensibilità e delle sue esigenze.

In Humanitas, l’intervento di ricostruzione è inserito nel percorso della Breast Unit: il Centro di Senologia, diretto dal dottor Corrado Tinterri, dedicato alla diagnosi e alla cura del tumore al seno, che accompagna le donne in tutte le fasi di malattia, ricostruzione inclusa, e che vede insieme professionisti diversi, come oncologi, senologi, chirurghi plastici e psicologi. Per prenotare una visita con il dottor Tinterri, clicca qui.

Ma cosa significa ricostruire e come avviene l’intervento? Ne parliamo con il professor Marco Klinger, Responsabile di Chirurgia plastica in Humanitas, specialista in chirurgia plastica ricostruttiva che con il suo team lavora anche all’interno della Breast Unit a beneficio delle pazienti oncologiche.

Cosa significa ricostruire una mammella?

Gli interventi oncologici sono diversi, così come sono differenti le caratteristiche delle pazienti e pertanto ogni ricostruzione è a sé.

Ricostruire una mammella significa ricreare la simmetria con la mammella sana in termini di volume, forma e posizione; il solco mammario, ovvero la piega che si trova nella parte inferiore della mammella, deve essere alla stessa altezza in entrambi i seni. Occorre poi che entrambe le mammelle reagiscano ai movimenti il più possibile allo stesso modo, per esempio quando si alzano o si allargano le braccia, e che abbiano un comportamento simile anche nel processo di invecchiamento e nella relativa e fisiologica caduta dei tessuti.

I casi possono essere molteplici: si va dalla quadrantectomia che prevede l’asportazione di una sola parte di un seno, alla mastectomia bilaterale che comporta l’asportazione di entrambe le mammelle. Vi è poi la cosiddetta nipple-sparing, una tecnica che prevede lo svuotamento della mammella con conservazione dei tessuti di rivestimento, ovvero cute, areola e capezzolo. In questo “sacchetto” vuoto, sotto il muscolo pettorale si inseriscono le protesi.

Quando si effettua l’intervento di ricostruzione?

Nel caso della nipple-sparing si esegue un solo intervento chirurgico (oncologico e plastico) con notevoli benefici per la paziente, che non viene sottoposta a un doppio intervento. In altri casi, si effettua una seconda operazione, dopo qualche mese dall’intervento oncologico.

Per ricostruire si possono utilizzare i cosiddetti device (come protesi o espansori), oppure si ricorre al rimodellamento della ghiandola rimasta, per asportazione solo di un quadrante mammario, oppure all’impiego di tessuti sani cutanei o muscolo-cutanei prelevati dall’addome o dal dorso.

La decisione del tipo di intervento e dei tempi viene presa dai senologi e dai chirurghi plastici insieme, tenendo conto delle caratteristiche cliniche e fisiche della paziente.

Il valore della ricostruzione

Come sottolinea il professor Klinger: “Aver avuto un tumore significa non solo aver avuto una malattia, ma anche aver riportato un trauma; un trauma che è importante non amplificare con quello della mutilazione. Ecco perché sosteniamo con forza la necessità della ricostruzione, al fine di restituire alla paziente la propria condizione iniziale. Più che da una motivazione estetica dunque, la ricostruzione è sostenuta dalla valutazione degli aspetti psicologici, così importanti da influenzare l’atteggiamento nei confronti della malattia e, di conseguenza, di contribuire positivamente alla guarigione”. Per prenotare una visita con il professor Klinger, clicca qui.

Il ruolo del grasso nella ricostruzione della mammella

Con la tecnica del lipofilling si procede ad aspirare la quantità necessaria di grasso dall’addome o dai fianchi della paziente, per mezzo di una cannula aspirante. Il grasso viene poi depurato e trasferito nel seno. Il lipofilling consente di ricreare i volumi perduti in seguito all’intervento oncologico, contribuendo al rimodellamento del seno e al miglioramento della qualità dei tessuti e delle cicatrici.

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che il grasso umano è ricco di cellule staminali adulte, capaci di rigenerare in modo profondo i tessuti in cui vengono trasferite. Il grasso è inoltre risultato prezioso nel contrastare la Post Mastectomy Pain Syndrome (PMPS): un disturbo che colpisce circa il 40% delle donne operate di mastectomia e che si manifesta con dolore lancinante compreso tra la cicatrice lasciata dall’intervento, l’ascella e il braccio; un dolore resistente agli antidolorifici e agli anti-infiammatori. Come dimostra uno studio pubblicato sul Plastic and Reconstructive Surgery Journal, dopo un autotrapianto di grasso, il dolore nelle pazienti affette da PMPS è diminuito di 3,23 su una scala di 10. Un miglioramento che si è rivelato essere costante nel tempo.

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