“La percezione della qualità della vita del paziente oncologico italiano”: questo il titolo di una ricerca svolta quest’anno dal CERGAS (il Centro Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria dell’Università Bocconi). Secondo questo studio la fatigue è la patologia più frequentemente vissuta dai pazienti oncologici, ma è anche quella che viene comunicata al medico con maggiore difficoltà, pur incidendo fortemente sulla qualità della vita del malato. Ed è proprio la qualità della vita complessiva del paziente che deve diventare un obiettivo di primaria importanza, che coinvolga e impegni tutti i soggetti: infermieri e oncologi, familiari e associazioni di pazienti. Questa ricerca, dunque, può costituire il punto di partenza per l’avvio di un processo di informazione e divulgazione al fine di migliorare la qualità della vita nel più breve tempo possibile.
Cosa si intende per “fatigue”?
“Gli inglesi utilizzano il termine fatigue per indicare lo stato di esaurimento di energia, estrema stanchezza, debolezza e spossatezza che caratterizza i pazienti sottoposti a terapie antitumorali – spiega la dottoressa Jennifer Landau, ricercatrice del CERGAS. Lo scopo della nostra ricerca è di fotografare, per la prima volta in Italia, la percezione della qualità della vita del paziente oncologico, mettendo a confronto la percezione dei malati e degli oncologi che li curano. Sono i pazienti a raccontare della loro qualità della vita, a esprimere i loro disagi e a dire quanto li comunicano e quanto gli oncologi li percepiscono. Il 90,3% dei pazienti intervistati dichiara di soffrire di fatigue quale disturbo più frequente e invalidante, ma solo il 38,8% parla sempre del suo disturbo. L’85% dei pazienti ammette di soffrire di depressione, ma solo il 19,2% ne parla sempre. Nel caso della nausea solo il 42,8% dei malati ne parla sempre e nel caso del dolore la percentuale scende al 36,6%. La qualità della vita è materia di rassegnazione: il paziente non ne parla. Nel caso della fatigue, il malato parla di più con i familiari che con i soggetti tecnici, oncologi e infermieri. Il problema è la comunicazione: quando il paziente parla sempre del proprio disturbo, il medico fornisce una risposta. Nel caso della nausea, inoltre, vi è una risposta anche in assenza di comunicazione”.
Una “rassegnazione comunicativa”
“Questi sono i primi dati degni di attenzione che emergono dalla ricerca – sottolinea il professor Elio Borgonovi, direttore del CERGAS e presidente della SDA-Bocconi – e segnalano la complessità della patologia tumorale, che rende ancora molto difficoltosa al malato una comunicazione efficiente. E’ come se il paziente si rassegnasse a una qualità della vita insufficiente. Emerge chiaramente come il paziente viva una “rassegnazione comunicativa” nei confronti del medico e conseguentemente non trovi una risposta terapeutica ai suoi sintomi: in sostanza, il paziente oncologico non percepisce la qualità della propria vita come una possibile parte integrante del trattamento clinico. E manca, speculare alla rassegnazione comunicativa del paziente, una focalizzazione da parte dei medici nell’indagare e rispondere alla patologia della fatigue quale elemento importante della qualità della vita del paziente. Infatti il gap della percezione tra medico e paziente, evidenziato nella ricerca come il confronto tra la percentuale di risposte “ne parlo” e “mi viene riferito”, risulta essere pari al 23,4% dei casi per la fatigue; il gap di comunicazione, evidenziato dal confronto tra “mi succede” e “ricevo risposte farmacologiche”, è pari al 52,7%, confermando la fatigue come il disturbo principale del paziente oncologico a cui non viene data risposta”.
“E’ come se il paziente non osasse dire che si sente stanchissimo, fisicamente e psicologicamente –commenta il dottor Alberto Costa, direttore della Scuola Europea di Oncologia – come se si vergognasse di non saper tenere il ritmo frenetico dei sani attorno a lui. Qualunque cosa si riesca a fare per ovviare a questa situazione deve essere incoraggiata e sostenuta: la fatigue può diventare uno stigma che emargina il paziente, che lo isola e lo fa sentire di intralcio, rendendogli drammaticamente triste e malinconica la sopravvivenza dalla malattia”.
Possibili soluzioni per il futuro
“Per quanto riguarda il futuro – suggerisce il professor Elio Borgonovi – è importante che si tragga una lezione dai risultati chiave di questa ricerca. Le ricerche dovrebbero alimentare politiche coerenti con i risultati emersi, stimolando chi ha la responsabilità, a livello regionale e nazionale, ad attuare interventi concreti, politiche di destinazione delle risorse alla risoluzione di problemi quali quello evidenziato dalla nostra ricerca, problemi sempre più diffusi, ma nascosti. Noi del CERGAS riteniamo che le analisi, le proposte e le politiche in tema di sanità debbano tener conto non solo dei costi/benefici, ma anche dei costi/qualità, ragionando così in termini di risultato globale. In altre parole gli indici di produttività della struttura di offerta sanitaria dovrebbero anche considerare la qualità della prestazione al cittadino, adottando dei metodi di valutazione della produttività che tengano conto, ad esempio, della necessità di programmare diversamente gli orari delle visite, così da lasciare al medico uno spazio libero per ascoltare il paziente, il “tempo per ascoltare”. Come dimostra la ricerca, la condizione necessaria è quella di incidere sugli atteggiamenti di tanti soggetti e questo non è un processo immediato e nemmeno facile. Quello che auspico è che si inizi da oggi a prendere decisioni sulla formazione degli atteggiamenti di tutti i soggetti che operano nella sanità e che incidono sul piano concreto sulla qualità della vita dei pazienti. Che nella formazione, oltre agli elementi tecnico-professionali, gestionali e manageriali, si introduca una maggiore attenzione agli aspetti relazionali, di umanità ed etica. Anche i sistemi che possono sembrare più tecnici, come l’analisi dei costi, toccano le persone”.
A cura di Elena Villa.
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