L’instabilità della spalla è una patologia molto diffusa, soprattutto negli sportivi di giovane età, caratterizzata dalla perdita dei normali rapporti articolari tra testa dell’omero e scapola. L’articolazione, quindi, non rimane nella sua posizione naturale e, di conseguenza, il paziente sente dolore e non riesce a muovere correttamente la spalla.
L’instabilità della spalla non riguarda soltanto chi pratica sport, ma può capitare in seguito a traumi che possono occorrere anche sul lavoro
Approfondiamo l’argomento con il dottor Mario Borroni, ortopedico e traumatologo di Humanitas.
Cos’è l’instabilità della spalla e come si manifesta?
L’instabilità è la condizione che si genera quando la spalla si muove oltre i normali gradi di movimento e quindi tende non rimanere nella sua posizione naturale, cosa che spesso è dovuta a eventi traumatici o microtraumatici.
Una spalla instabile può facilmente trasformarsi in una lussazione – che avviene quando, in una articolazione, i capi articolari perdono la loro posizione fisiologica in modo persistente (la spalla “esce” dalla sua sede) – o in una sublussazione – quando la testa dell’omero fuoriesce solo parzialmente – ed è caratterizzata da dolore che si accentua in quelle particolari posizioni o movimenti che tendono a riprodurre il movimento che ha generato la lussazione o la sublussazione.
Instabilità della spalla: la diagnosi
L’instabilità della spalla è normalmente semplice da riscontrare attraverso un accurato esame fisico del paziente – importante è, in questo senso, sapere se il soggetto tende a fare particolari movimenti ripetitivi, o se c’è stato un trauma – e la lettura della sua storia clinica, che potrà indicare la presenza di una lassità diffusa alle articolazioni.
In certi casi, il medico prescrive una radiografia o una risonanza magnetica di controllo per escludere la presenza contemporanea di fratture o lacerazioni tendinee.
Instabilità della spalla: le opzioni terapeutiche
Dopo che la diagnosi ha confermato un’instabilità della spalla, esistono diverse opzioni terapeutiche, che staranno in capo allo specialista, che potrà tenere conto, quando possibile, delle esigenze del paziente.
Il primo trattamento, in generale, è di tipo conservativo: in caso di lussazione acuta, è necessario procedere il più velocemente possibile alla manovra di riduzione, seguito da un’immobilizzazione per alcune settimane; successivamente sarà utile un percorso di riabilitazione per recuperare la normale articolarità e rinforzo muscolare.
In caso invece di lussazione recidivante, (più di un episodio), lo specialista potrà optare per un approccio di tipo chirurgico.
La scelta chirurgica: artroscopia o interventi tradizionali
Una delle tecniche più utilizzate in caso di instabilità della spalla è la capsuloplastica artroscopica.
L’artroscopia consiste nell’accesso all’articolazione attraverso piccole incisioni e strumenti dedicati, con controllo attraverso microtelecamera. In questo modo, i muscoli non vengono incisi, e, in caso di pazienti affetti da danno solo capsulo-legamentoso questa tecnica è particolarmente adatta.
In questo intervento le lesioni delle strutture “molli” (capsula e legamenti), vengono riparate con l’ausilio di piccole ancorette e di fili di sutura.
In caso invece di danno anche osseo (sia a livello della testa dell’omero che della scapola), in genere più frequente in casi di instabilità recidivante, si opta per un intervento “tradizionale”, che prevede un’incisione chirurgica di 4-5 cm e la trasposizione di piccoli innesti ossei con l’obiettivo di ripristinare una corretta anatomia e di creare una barriera alla fuoriuscita della spalla
Gli interventi sono eseguiti in anestesia loco regionale, possono generalmente essere eseguiti in Day Hospital (o al massimo una notte di ricovero) e una successiva immobilizzazione per un periodo di 3-4 settimane.
Fondamentale è il successivo percorso riabilitativo per la rieducazione funzionale della spalla, che in genere ha una durata tra i 3-5 mesi.
Il ritorno agli sport, soprattutto se di contatto come il rugby, il nuoto, la pallavolo o il sollevamento pesi, è sconsigliato per almeno sei mesi.
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