Rappresentano l’intervento medico che più di tutti ha cambiato la vita dell’uomo sul pianeta e oggi, grazie ai progressi della ricerca, promettono applicazioni anche terapeutiche e per malattie non infettive. Ma la sfida più grande per i vaccini del futuro è quella di debellare le malattie più comuni, che nei paesi poveri fanno centinaia di migliaia di morti. Il prof. Alberto Mantovani, Direttore scientifico di Humanitas, riflette sulle conquiste fatte e su quelle all’orizzonte.
Prof. Mantovani, perché recentemente si è riacceso l’interesse sui vaccini?
“Penso che il motivo sia almeno duplice. Innanzitutto perché sono stati fatti importanti progressi nella comprensione dei meccanismi che regolano il funzionamento del sistema immunitario. Inoltre, perché le tecnologie basate sulla biologia molecolare hanno consentito di identificare nuovi bersagli per la messa a punto di vaccini. Ad esempio, è stato sequenziato il genoma di diversi microrganismi patogeni, e questo ha consentito di identificare molecole candidate per vaccini innovativi. In questo settore Rino Rappuoli a Siena ha fatto un lavoro assolutamente pionieristico con un patogeno importante, il meningococco che causa meningite.
Ma non è tutto. La possibilità di sviluppare adiuvanti diversi è un altro importante elemento che ci fa sperare di riuscire a mettere a punto nuovi vaccini che rispondano ai bisogni di salute dell’umanità. Un vaccino, infatti, è costituito da una molecola detta antigene, contro cui si vuole indurre la risposta immunitaria, e da una sostanza detta adiuvante che costituisce un segnale di allarme generale, di tipo infiammatorio, per il sistema immunitario più primitivo. Fino a pochissimo tempo fa i vaccini si basavano su un adiuvante sviluppato alla fine degli anni ’20 – l’idrossido di alluminio – di cui ancora non capiamo bene il funzionamento. Negli ultimi dieci anni gli importanti progressi effettuati nello studio dell’immunità innata hanno aperto la strada allo sviluppo di adiuvanti innovativi. Ma è una strada lunga”.
Quali sono i prossimi passi?
“Sono molti gli aspetti dell’immunologia importanti per lo sviluppo dei vaccini ancora da indagare. Ad esempio sappiamo ancora poco del funzionamento dei meccanismi della memoria immunologica, che è alla base del funzionamento dei vaccini. Ancora il sistema immunitario è capace di mettere in movimento armi diverse per affrontare nemici diversi. È diverso affrontare un grosso parassita o un visus invisibile. Ebbene, dobbiamo imparare ad attivare con vaccini innovativi difese diverse per affrontare nemici diversi. Per ora ne sappiamo attivare poche”.
Cosa si intende esattamente per vaccino?
“Il vaccino è per definizione classica un approccio di tipo preventivo. Un vaccino non ha nulla a che vedere con farmaci che possono intervenire sul funzionamento del sistema immunitario, alcuni dei quali (es. citochine o fattori di crescita) sono in uso clinico.
In questo momento sono in sperimentazione, nel campo dei tumori, vaccini terapeutici. Si tratta di un mondo nuovo in cui stiamo muovendo i primi passi”.
La conquista più recente in questo campo?
“Nel campo delle terapie antitumorali sono in sperimentazione vaccini basati sull’uso di cellule del paziente stesso, che partono da una scoperta dell’immunologia di base: cellule sentinella, dette dendritiche, che trasmettono al sistema immunitario un segnale di allerta. Ebbene, sono in sperimentazione vaccini terapeutici con cellule dendritiche del paziente”.
Quali sono i rischi?
“Come per qualunque intervento medico, dobbiamo sempre valutare il rapporto rischi/benefici. I vaccini in uso clinico sono stati accuratamente valutati dal punto di vista dei rischi, e in particolare i nuovi vaccini introdotti con target molecolari si sono mostrati estremamente sicuri”.
In futuro avremo un vaccino per tutte le malattie?
“Diciamo che i vaccini costituiscono l’intervento medico che più di tutti ha cambiato la vita dell’uomo sul pianeta. Oggi non ci ricordiamo neppure che cosa sia un’epidemia di vaiolo, o che cosa voglia dire la morte di un bambino da kroup difterico.
Abbiamo davanti grandi problemi di salute affrontabili con vaccini innovativi. Basti pensare alla malaria o alla tubercolosi. Un uomo su tre è infettato dal germe della tubercolosi. Abbiamo anche bisogno di avere vaccini somministrabili per via nasale o per bocca. Su questo punto ad esempio vi è un progetto europeo (Muvapred: mucosal vaccines for povertà related diseases), di cui siamo parte, coordinato da Rino Rappuoli, Siena, mirato allo sviluppo di vaccini mucosali. Ancora, dobbiamo ridurre il tempo che intercorre fra lo sviluppo di un vaccino nuovo e la sua introduzione nei paesi ricchi e il suo trasferimento ai paesi poveri, dove il bisogno è massimo. Nel passato questo intervallo è stato di venti anni. GAVI, l’alleanza mondiale tra istituzioni e privati che fornisce vaccinazioni ai bambini dei paesi più poveri, sta facendo uno sforzo con successo per ridurre questo intervallo. Abbiamo problemi di salute globale che possiamo affrontare efficacemente con i vaccini che già abbiamo e che possiamo migliorare con la ricerca. Voglio ricordare qualche numero: i circa 700.000 bambini che muoiono ogni anno per diarrea da rotavirus. Il circa mezzo milione di bambini che muoiono da infezione da pneumococco. Questi bambini possono essere salvati con i vaccini attuali o migliorando quelli che abbiamo. Per quanto riguarda patologie non infettive come l’aterosclerosi, si tratta di un mondo nuovo in cui muoviamo i primi passi”.
Ci sono fallimenti nella storia dei vaccini?
“Indubbiamente, come per qualunque attività di ricerca, anche nell’avventura dei vaccini c’è qualche insuccesso. Il caso più clamoroso è quello per il virus HIV. Il fallimento di una sperimentazione clinica recente ha costituito un grosso set back per il settore, al punto da mettere in forse la prospettiva di avere un vaccino contro questo virus. Qui si tratta di mettere a punto un vaccino contro un patogeno assolutamente peculiare: insomma, di affrontare un nemico completamente nuovo con strategie nuove basate sulla ricerca”.
A cura della Redazione
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