Si chiama CORONA il nuovo studio che ha permesso di fare il punto sul trattamento dello scompenso cardiaco. L’acronimo sta per COntrolled ROsuvastatin multiNAtional trial in heart failure, cioè studio controllato multinazionale sulla rosuvastatina nello scompenso cardiaco. È la prima ricerca che ha valutato in modo specifico l’efficacia di un farmaco anticolesterolo appartenente alla famiglia delle statine, la rosuvastatina appunto, in chi soffre di questa malattia. Un dettaglio strettamente tecnico? Non esattamente perché questa ricerca aiuta ad ampliare le conoscenze sulla terapia dello scompenso e sulle conseguenze che possono colpire chi ne soffre, migliorando le cure e la qualità della vita. Abbiamo chiesto al dott. Edoardo Gronda, cardiologo, di spiegarci a che punto sono oggi la ricerca e le possibilità di cura per questa malattia, che solo in Italia colpisce un milione di persone.
Dott. Gronda, che cos’è lo scompenso cardiaco?
“Lo scompenso o insufficienza cardiaca è una malattia caratterizzata dalla ridotta capacità del cuore di pompare sangue. Per cercare di compensare questa inefficienza, il cuore (ed in particolare il ventricolo sinistro) tende ad aumentare di volume. La malattia presenta sintomi caratteristici, come fame d’aria, affaticabilità, tosse e comparsa di gonfiore alle estremità. Questi segni e sintomi possono essere più o meno accentuati a seconda della serietà dello scompenso, che viene suddiviso in quattro classi funzionali in base alla classificazione ormai universale della New York Heart Association (NYHA) da I a IV”.
A che cosa è dovuto?
“Nella maggior parte dei casi è dovuto ad un danno ischemico del muscolo cardiaco, ossia ad un ridotto afflusso di sangue ossigenato al tessuto miocardico (ischemia) che può dare origine all’infarto. Una condizione in cui l’afflusso di sangue viene temporaneamente interrotto a causa dell’occlusione di una delle coronarie (le arterie che irrorano il cuore). Questo tipo di danno riduce la capacità funzionale del muscolo cardiaco compromettendone l’efficienza. Lo scompenso può essere dovuto anche a cause non ischemiche, come ad esempio il diabete, le malattie renali, l’ipertensione, che insieme o separatamente concorrono o determinano la compromissione della funzione di pompa del cuore”.
Perché si parla tanto dello studio CORONA?
“Già da tempo l’interesse verso le statine è notevole. Questi farmaci, si sono dimostrati capaci di ridurre in modo determinante gli eventi cardiovascolari, tra cui l’ischemia miocardia acuta, che come abbiamo visto è la principale causa di scompenso cardiaco. Sino ad ora si sapeva che le statine potevano ridurre le recidive, ossia la comparsa di altri eventi cardiovascolari come infarto e ictus, ma non era certo quali benefici avrebbero comportato per chi già soffrisse di scompenso. Vi erano pochi dati dedotti da studi eseguiti in malati con altri quadri clinici, da cui emergeva una possibile riduzione nell’incidenza di eventi collegati allo scompenso. Lo studio CORONA è il primo ideato per valutare l’efficacia della rosuvastatina, un farmaco di ultima generazione, proprio in coloro che sono affetti da scompenso cardiaco di origine ischemica, cioè dopo un infarto”.
E questo che differenza comporta?
“La differenza consiste nel fatto che per la prima volta si hanno a disposizione dati che riguardano una popolazione molto simile a quella curata nel mondo reale, quella che vediamo tutti i giorni in ambulatorio o in ospedale. La ricerca ha infatti coinvolto persone con un’età media di 73 anni, con uno scompenso dovuto a cause ischemiche e con un grado di malattia avanzato. Proprio i malati per cui si attendeva la valutazione dei benefici dall’impiego delle statine”.
Quali sono stati i risultati dello studio, che tra l’altro sono stati presentati al recente Congresso dell’America Heart Association, la più importante associazione cardiologica americana?
“Lo studio ha verificato che la rosuvastatina non migliora in modo significativo gli eventi cardiovascolari fatali. La somministrazione del farmaco, tuttavia, ha dimostrato di ridurre il numero di ricoveri in ospedale ed il numero di eventi cardiovascolari (infarto e ictus) non fatali, agendo in modo efficace sul colesterolo. La rosuvastatina ha ridotto il colesterolo LDL, quello più nocivo, ed ha aumentato l’HDL che ha un’azione protettiva. L’effetto netto è quello di un miglioramento della qualità di vita dei malati e riduzione delle spese sanitarie. Questi benefici sembrano più evidenti nella popolazione con età meno avanzata, indicando la necessità di non ritardare l’introduzione del farmaco”.
In pratica questo cosa cambia?
“Lo studio ha dimostrato che gli effetti benefici della statina sono presenti anche nelle persone che soffrono d’insufficienza cardiaca, e che questi si possono conseguire senza che i temuti effetti collaterali sulla muscolatura scheletrica si manifestino. Il danno muscolare associato a mialgia (dolore) è infatti l’evento più frequente e temuto con la somministrazione di statine, particolarmente per gli anziani. Lo studio CORONA ha invece dimostrato l’assoluta sicurezza della rosuvastatina in chi soffre di scompenso anche dopo i 70 anni”.
Quali sono le altre conoscenze recenti che aiutano a migliorare la cura della malattia?
“Negli ultimi tempi le conoscenze sullo scompenso, sulle sue cause e sulle cure si sono decisamente ampliate. In particolare si è visto che per prevenire le conseguenze più temute della malattia è molto importante prestare attenzione al danno metabolico, quello dovuto al diabete per intenderci, ed a quello renale. Entrambi possono essere sia causa che conseguenza degli eventi cardiovascolari e dei fattori di rischio più comuni”.
In che modo si possono migliorare le cure?
“È ormai accertato che l’eccesso di grassi nel sangue (dislipidemia), il fumo, l’ipertensione arteriosa, ed il diabete danneggiano il rene. In particolare ne compromettono la struttura vascolare, l’afflusso sanguigno e di conseguenza la funzione. L’effetto è l’alterazione dell’equilibrio dell’intero apparato cardiovascolare, in cui il rene funge da regolatore del volume circolante. In queste circostanze il rene produce sostanze (come le catecolamine e l’angiotensina II) che a loro volta danneggiano il cuore ed i vasi sanguigni. Si innesca, quindi, un circuito vizioso per cui cuore e rene si danneggiano vicendevolmente, ed in cui l’alterato metabolismo gioca come fattore aggravante sui due fronti, favorendo la comparsa dello scompenso ed aggravandolo”.
Come prevenire e curare al meglio lo scompenso?
“È fondamentale curare subito e al meglio i fattori di rischio coinvolti nella comparsa del danno cardiaco e renale. Per questo in Humanitas è stato attivato il programma CARE ME (CArdiac REnal and MEtabolism registry) che vede nella stretta collaborazione tra la Cardiologia, la Nefrologia diretta dal Prof. Giorgio Graziani e la Diabetologia lo strumento più innovativo ed efficace per curare in modo tempestivo, appropriato e coordinato, i diversi aspetti delle malattie cardiovascolari che possono causare l’insufficienza cardiaca. In questo ambito il cardiologo, il neurologo e il diabetologo devono impiegare gli stessi farmaci, quali i sartani, gli Ace-inibitori, i betabloccanti e le statine che agiscono per prevenire e curare il danno vascolare e metabolico. Questi medicinali devono essere prescritti in base alle linee guida internazionali sia per prevenzione primaria che secondaria, cioè rispettivamente in coloro che sono a rischio o che hanno già avuto un evento cardiovascolare”.
Cosa deve fare in pratica chi ha avuto un infarto?
“Innanzitutto affidarsi alle cure del cardiologo. Lo specialista analizzerà non solo la situazione cardiologica, ma prescriverà gli opportuni accertamenti per valutare l’eventuale presenza di fattori di rischio o di danno ad altri organi ed apparati”.
Quali ad esempio?
“Tra gli accertamenti c’è ad esempio l’esame delle urine per valutare la presenza di un eventuale danno renale tramite la rilevazione della microalbuminuria. La microalbuminuria (presenza di albumina nelle urine) è un esame molto importante per valutare se il rene è sofferente. L’albumina è infatti una proteina che si riscontra nelle urine quando il rene presenta un danno vascolare anche in fase iniziale. La presenza di questa proteina è un potente indicatore di possibili eventi cardiovascolari avversi come lo scompenso acuto e l’infarto miocardico. In questi casi l’impiego di farmaci ACE inibitori e sartani è l’arma più efficace per limitare la progressione del danno e farlo eventualmente regredire”.
Per concludere, quanto conta prestare attenzione ai fattori di rischio cardiovascolare?
“È sempre molto importante tenere sotto controllo i fattori di rischio generali quali il peso, la pressione arteriosa e l’ipercolesterolemia, evitare il fumo, fare attività fisica regolare e ridurre il sale nella dieta, tutti elementi che contribuiscono a mantenere l’apparato cardiovascolare in buona efficienza”.
A cura di Silvia Rosselli
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