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Farmaci biologici, quando e perché funzionano

 Biologia molecolare e biotecnologie stanno rivoluzionando la Medicina. La comprensione di come le malattie agiscono in ciascun paziente sta aprendo nuovi orizzonti nella diagnostica e nella cura. Si stanno facendo progressi da un lato nella messa a punto di terapie sempre più su misura, dall’altro nello sviluppo di nuovi farmaci, che agiscono in modo estremamente mirato.

medico_apeLa Medicina è a un punto di svolta importante. Grazie alle conquiste della genetica e della biologia molecolare, stiamo cominciando a svelare sia i meccanismi che sono alla base del funzionamento del nostro organismo, sia le modalità con cui le malattie aggrediscono ogni singolo individuo. Inoltre, i progressi della biotecnologia ci offrono l’opportunità di intervenire e modificare questi processi a scopo terapeutico. “Ormai sappiamo che il nostro genoma è composto da circa 30-40mila geni e che il modo e la sequenza con cui si attivano e disattivano regola tutto il funzionamento dell’organismo – sostiene Alberto Mantovani, immunologo e Direttore Scientifico di Humanitas -. È come un sistema di luci, con tante lampadine spente, accese o che si illuminano in modo intermittente. Questa scoperta ci ha permesso di identificare nuovi ‘bersagli molecolari’ sui quali agire per mettere a punto terapie più mirate, come le targeted therapies e i farmaci biologici, che si stanno dimostrando efficaci in molti settori: da quello oncologico a quello delle malattie autoimmuni (come l’artrite reumatoide) e infiammatorie croniche, come morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa”.

Ad esempio, per quanto riguarda i tumori aver iniziato a capire quali sono ‘le lampadine’ accese e quelle spente ha consentito di comprendere che ciascun tumore ha una sorta di ‘firma molecolare’ che lo contraddistingue e diversifica da neoplasie che colpiscono lo stesso organo in un altro paziente, e che fino a poco tempo fa erano ritenute identiche. “È come se fosse ‘l’impronta dell’assassino’ lasciata sul luogo del delitto – chiarisce Mantovani -. Questo approccio ci consente di classificare i tumori non più solo in base al distretto colpito, ma secondo le loro precise caratteristiche molecolari”. A questo punto, è possibile identificare i pazienti che hanno un tumore con quella precisa firma molecolare e colpire proprio quelle cellule con terapie mirate, che oggi sono rappresentate dai nuovi farmaci biologici. “Ancora non si può parlare di cure personalizzate, disegnate quindi sul singolo – precisa il dottor Armando Santoro, Direttore della Ricerca Clinica di Humanitas e responsabile del Dipartimento di Oncologia Medica ed Ematologia – ma sicuramente di una tappa importante in questa direzione. Grazie a questi risultati, ora è possibile curare in modo diverso, più specifico e più efficace, i pazienti che hanno la stessa malattia e che prima potevano beneficiare di un’unica soluzione terapeutica, uguale per tutti”.

Il Total Cancer Care
Proprio per favorire lo sviluppo e l’utilizzo dei nuovi farmaci biologici in oncologia, e per identificare soluzioni terapeutiche sempre più mirate ed efficaci è nato un progetto internazionale, il Total Cancer Care. È stato lanciato dal Lee Moffitt Cancer Center – il primo centro oncologico della Florida e uno dei più importanti degli Stati Uniti – e Humanitas è la prima struttura europea ad aderire all’iniziativa, come spiega il dottor Armando Santoro: “Ad oggi sono noti circa 30 mila geni coinvolti nelle malattie tumorali. L’obiettivo del Total Cancer Care è effettuare un’indagine genetica su tutti i campioni di tessuto tumorale raccolti nei centri coinvolti nel mondo. La loro identificazione ci consente di ottenere la ‘firma’ molecolare di quello specifico carcinoma e, quindi, di sviluppare dei farmaci efficaci. Il progetto prevede che queste informazioni vengano inserite in una banca dati e che, una volta elaborate, possano essere utilizzate per dare ulteriore impulso e nuove prospettive alle ricerche in questo settore”.

I farmaci biologici in oncologia
Proprio in campo oncologico, infatti, i farmaci biologici di ultima generazione stanno ottenendo risultati estremamente interessanti. “Queste nuove molecole – prosegue il dottor Santoro – agiscono sulla crescita del tumore, bloccando la formazione di alcune proteine che hanno un ruolo chiave in questo processo. Inibiscono, così, lo sviluppo delle cellule cancerose. Sono almeno una quindicina i farmaci di questo genere attualmente già in uso, e sono oltre mille quelli in fase di sperimentazione clinica”. Il primo farmaco biologico utilizzato è stato l’herceptin, che si è rivelato utile nel ridurre, in oltre il 50% dei casi, il rischio di recidiva nel tumore mammario operabile. Mentre tra i più recenti c’è il lapatinib, che si sta dimostrando efficace nel contrastare la comparsa di metastasi da tumore della mammella. Esistono molecole che vengono impiegate con successo contro il tumore al colon (cetuximab, bevacizumab) e altre (sunitinib, sorafenib) che hanno aperto nuove prospettive per la cura dei carcinomi renali e al fegato, per i quali fino a poco tempo fa c’erano pochissime possibilità terapeutiche.
“Per il carcinoma del fegato, ad esempio – prosegue il dottor Santoro – uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, cui ha partecipato attivamente il Dipartimento di Oncologia di Humanitas, ha dimostrato l’efficacia di una molecola (sorafenib) nel bloccare la progressione di questo tumore e nell’aumentare la sopravvivenza dei pazienti sottoposti alla terapia. Precedentemente, al di fuori delle terapie locali (chirurgia, radiofrequenza, embolizzazione), non esisteva nessun farmaco in grado di modificare l’evoluzione dell’epatocarcinoma”.

Inoltre, sono stati recentemente annunciati i risultati di uno studio clinico con il primo farmaco biologico orale, l’erlotinib, che ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti con carcinoma polmonare in fase avanzata, malattia che ancora oggi è la prima causa di morte per cancro nel mondo e che mediamente, nei soggetti con metastasi, ha un’attesa di vita che non supera i dieci mesi. Lo studio è stato guidato dall’oncologo Federico Cappuzzo che, dopo un’esperienza all’estero, è rientrato in Italia nell’équipe del dottor Santoro: “E’ noto da circa tre anni che l’erlotinib prolunga in modo significativo la sopravvivenza dei pazienti affetti da neoplasia polmonare, contribuendo a rallentare la progressione della malattia e riducendo anche il manifestarsi dei sintomi più dolorosi ad essa collegati, come la tosse e le difficoltà respiratorie. Grazie a questa molecola, l’aspettativa di vita è significativamente aumentata ed in alcuni pazienti con particolari caratteristiche biologiche la sopravvivenza mediana è praticamente raddoppiata. Lo studio da noi condotto ha dimostrato che l’erlotinib dato al termine dei ‘classici’ 4-6 cicli di chemioterapia riduce significativamente il rischio di progressione tumorale, rispondendo in tal modo ad una frequente richiesta del paziente che desidera una terapia di mantenimento che rispetti la sua qualità di vita. Infatti, l’assunzione che avviene semplicemente attraverso una pillola permette al malato di curarsi a casa: aspetto, questo, non possibile con la chemioterapia tradizionale. Esiste un altro aspetto estremamente interessante messo in evidenza dalle ricerche su questa molecola: i pazienti che rispondono meglio alla terapia sono quelli che hanno una particolare mutazione genetica, presente in circa il 10% dei malati”. Un’ulteriore conferma che le indagini genetiche possono offrire preziose informazioni sulle caratteristiche delle patologie e, quindi, incoraggianti prospettive di cura. (1- continua)

Di Carlo Falciola

 

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