È di questi giorni la notizia che il servizio sanitario inglese (Nhi) ha negato il rimborso per la terapia con Olaparib, un farmaco antitumorale che ha dimostrato, in studi clinici, la sua efficacia nel carcinoma ovarico avanzato. Il motivo? Costi eccessivi (più di 5500 € al mese per il trattamento), ritenuti non sono giustificabili alla luce dei benefici attesi: un allungamento di qualche mese dell’evoluzione della malattia.
Antitumorali, cosa succede se le cure sono troppo costose?
“Senza guardare al caso specifico, ritengo doveroso che gli enti regolatori si interroghino e diano risposte concrete in merito al problema della sostenibilità economica legata alla immissione in commercio di questi nuovi farmaci, soprattutto quando i vantaggi attesi non sono “rivoluzionari”, ma consentono un allungamento di qualche mese delle prospettive di vita – commenta il prof. Armando Santoro, direttore di Humanitas Cancer Center. – È vero, da una parte, che dare alla vita umana un valore ‘economico‘ è una terribile responsabilità dal punto di vista etico; d’altro canto, è vero che tale responsabilità, qualcuno dovrà assumersela, specialmente in tempi di risorse limitate e spesso insufficienti. Inoltre va forse considerato il “giusto prezzo” di un farmaco rispetto al vantaggio indotto. Bisogna pensare anche al futuro: immaginare di percorrere strade che portano i costi a lievitare fuori controllo, rischierebbe di mettere ulteriormente in discussione la sostenibilità futura dei sistemi sanitari, determinando una disparità di trattamento inaccettabile fra chi deve essere curato oggi e chi invece potrebbe aver bisogno di risorse in futuro”.
“Credo che oggi, per affermare che un nuovo farmaco o un nuovo tipo di trattamento costituiscano un passo in avanti, non sia più sufficiente analizzarne i vantaggi solamente dal punto di vista clinico, soprattutto se tali vantaggi sono molto limitati. A mio parere, non è accettabile che vengano autorizzati farmaci per i quali siano emersi vantaggi minimi rispetto ai trattamenti già utilizzati, a fronte di costi esorbitanti. È necessario che si applichino analisi che mettano a confronto costi e benefici, specialmente quando vi sia già un trattamento che dà risultati accettabili” prosegue il prof. Santoro, che conclude: “Un cambiamento è già in atto ma sarebbe almeno altrettanto importante un ripensamento delle politiche industriali delle aziende farmaceutiche e dei rapporti fra queste e le strutture sanitarie. Sarebbe anche auspicabile una visione diversa della ricerca che, anziché cercare di dimostrare solo l’attività di un nuovo farmaco, cerchi di definire il reale impatto nel miglioramento della durata e della qualità di vita del paziente cui andrà eventualmente somministrato”.
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