L’epicondilite, detta anche epicondilalgia omerale, o, più comunemente, gomito del tennista, è una particolare tendinopatia a carico dei tendini estensori del polso e delle dita.
L’infiammazione nasce quando i tendini che si inseriscono sull’epicondilo laterale omerale all’altezza del gomito subiscono una degenerazione che riguarda le fibre elastiche che vengono sostituite con fibre cicatriziali.
A volte questa degenerazione può essere indotta da microtraumi o da “overuse” per esempio a causa di ripetute posizioni innaturali e sforzi del braccio. Ne parliamo con il dottor Mario Borroni, ortopedico e traumatologo in Humanitas.
Epicondilite: chi colpisce?
L’epicondilite colpisce in Italia dall’1 al 3% della popolazione in età lavorativa, tra i 25 e i 60 anni. Si tratta infatti di un disturbo che riguarda coloro che sono costretti, magari a causa di mansioni ripetitive, a mantenere gomito e polso in una posizione innaturale per un tempo prolungato. È una patologia ad esempio che intacca chi lavora al computer per svariate ore al giorno, ma anche altre figure come i camerieri o i meccanici.
Epicondilite: il dolore da non sottovalutare
Spesso l’epicondilite non viene presa seriamente dai pazienti, specie se associata a gesti e abitudini quotidiani, che i pazienti non considerano dannosi. In questi casi il rischio è quello di una diagnosi tardiva, con conseguente cronicizzazione del disturbo.
Il gomito del tennista provoca la perdita di elasticità del tendine e, in questo modo compromette i movimenti del polso e del gomito. È il dolore il principale campanello di allarme, dato che si irradia nel braccio a ogni movimento, anche durante le azioni più semplici.
Inoltre, a causa della sua tendenza a cronicizzarsi, l’epicondilite può arrivare ad avere un impatto negativo sulla qualità della vita dei pazienti e impedire il normale svolgimento delle attività quotidiane.
Gomito del tennista: come si cura?
La diagnosi di epicondilite avviene tramite palpazione dell’epicondilo e test specifici, che, in caso di risultati positivi, possono indicare la presenza della patologia.
In genere, una volta stabilita la gravità del problema, si tenta un primo approccio conservativo, che prevede l’utilizzo di:
- antinfiammatori;
- terapie fisiche come ad esempio laserterapia e onde d’urto focali, in modo da migliorare la microvascolarizzazione locale;
- sedute di fisioterapia e stretching da fare a casa per permettere ai tendini di recuperare l’elasticità.
Ultimo, ma fondamentale, è il riposo: per permettere che gli altri trattamenti abbiano esito positivo, gomito e polso dovranno evitare quei movimenti che provocano lo sforzo del tendine.
Queste terapie servono sia ad aumentare l’elasticità del tendine, sia a migliorare la vascolarizzazione. I due aspetti concorrono a condizionare la capacità di movimento del tendine e il dolore provato dal paziente.
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