L’epatite autoimmune è una patologia del fegato provocata da un difetto del sistema immunitario che affligge in particolar modo il sesso femminile, che ne rappresenta oltre il 70% dei pazienti, prevalentemente tra i 40 e i 70 anni.
L’epatite autoimmune, per certi versi, è meno conosciuta delle epatiti virali, ma può essere estremamente insidiosa e aggressiva. Ne parliamo con il professor Alessio Aghemo, Responsabile dell’Unità di Epatologia in Humanitas e docente di Humanitas University, e con la professoressa Ana Lleo De Nalda, specialista in Epatologia in Humanitas e docente di Humanitas University.
Cos’è l’epatite autoimmune e quali sono le sue forme
Le malattie autoimmuni derivano da un’infiammazione provocata da un erronea produzione di anticorpi da parte del sistema immunitario che, non riconoscendo le proprie cellule, le attacca.
Nel caso dell’epatite autoimmune, il sistema immunitario non riconosce le cellule del fegato e le aggredisce, provocando così un’infiammazione che, in mancanza di adeguati trattamenti, deteriora progressivamente l’organo.
In base agli anticorpi prodotti dall’organismo si riconoscono due forme di epatite autoimmune: l’epatite autoimmune di tipo 1 e l’epatite autoimmune di tipo 2.
– Epatite autoimmune di tipo 1: è generalmente associata ad altre patologie autoimmuni (ad esempio l’artrite reumatoide o le tiroiditi) e si manifesta a qualsiasi età. Gli anticorpi generati da questa risposta del sistema immunitario sono quelli antinucleo (ANA) o antimuscolo liscio (ASMA);
– Epatite autoimmune di tipo 2: di solito si presenta nel sesso femminile e in età giovanile o pediatrica ed è associata ad altre patologie autoimmuni. Riguarda gli anticorpi microsomiali fegato-rene (LKM1).
I sintomi dell’epatite autoimmune
Inizialmente l’epatite autoimmune non presenta sintomi e può essere diagnosticata solo tramite gli esami del sangue: per esempio, l’aumento delle transaminasi può essere un campanello d’allarme.
Quando cominciano a manifestarsi i primi sintomi, questi sono analoghi a quelli di altre malattie del fegato, come ittero, urine scure e feci grigiastre. In mancanza di un adeguato trattamento, nei casi più gravi la patologia può degenerare anche in cirrosi epatica o in insufficienza epatica.
Dalla diagnosi alla terapia
L’epatite autoimmune si diagnostica e distingue dalle epatiti virali tramite specifici esami del sangue e biopsia epatica. La stadiazione della malattia, particolarmente utile per riconoscere un eventuale quadro di cirrosi epatica, avviene tramite ecografia dell’addome.
Una volta diagnosticata la patologia, la terapia prevede l’utilizzo di farmaci immunosoppressivi. Inizialmente viene prescritto il cortisone, successivamente possono essere inseriti altri farmaci utili a tenere sotto controllo nel lungo termine l’infiammazione, per esempio l’azatioprina. Solo nei casi più severi si rende necessario il trapianto di fegato.
Purtroppo non esistono metodi di prevenzione per l’epatite autoimmune, ma è sempre raccomandabile seguire uno stile di vita sano e attivo e un’alimentazione equilibrata, ricca di verdura, frutta e cereali integrali, e povera di alcolici. Da evitare anche il fumo di sigaretta.
L’impegno di Humanitas nella sperimentazione clinica
Per la cura dell’epatite autoimmune mancano farmaci specifici, per questo l’Unità di Epatologia di Humanitas inizierà a breve una nuova sperimentazione clinica. Questo studio si inserisce nel percorso di Ricerca degli specialisti dell’Unità, volto sia a conoscere meglio la patologia sia a trovare cure sempre più efficaci per i nostri pazienti.
Visite ed esami
-
2.3 milioni visite
-
+56.000 pazienti PS
-
+3.000 dipendenti
-
45.000 pazienti ricoverati
-
800 medici