La dislipidemia è una condizione in cui si verifica un’alterazione nei livelli di grassi presenti nel sangue, come colesterolo e trigliceridi.
Il colesterolo svolge un ruolo fondamentale nella struttura delle membrane cellulari ed è necessario per la sintesi di ormoni e vitamine essenziali. I trigliceridi, d’altra parte, costituiscono una delle principali riserve energetiche del corpo e vengono immagazzinati nelle cellule adipose che compongono il tessuto grasso.
Tuttavia quando i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue risultano troppo elevati, aumenta significativamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.
Ne parliamo con la dottoressa Tiziana Anita Ammaturo, cardiologa presso l’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano.
Quali sono le cause della dislipidemia?
La dislipidemia può avere origini diverse:
- Genetica, con mutazioni che portano a una produzione eccessiva o a una difficoltà nell’eliminazione di colesterolo e trigliceridi.
- Stile di vita scorretto, come la mancanza di attività fisica, una dieta ricca di grassi e povera di frutta e verdura, o l’abuso di alcol.
- Condizioni mediche come diabete, obesità, insulino-resistenza, ipotiroidismo, sindrome dell’ovaio policistico, malattie epatiche e renali, oppure l’uso di certi farmaci (come estroprogestinici, glucocorticoidi).
I sintomi della dislipidemia
In genere, la dislipidemia non presenta sintomi evidenti fino a quando non provoca danni agli organi, come l’accumulo di grassi sulle pareti arteriose che porta alla formazione di placche aterosclerotiche. Questi restringimenti possono bloccare il flusso sanguigno e provocare patologie gravi come aterosclerosi, infarti, ictus o arteriopatie periferiche.
Nei casi di ipercolesterolemie familiari si possono manifestare segni clinici caratteristici, tra cui:
- Xantomi tendinei: accumuli di colesterolo nei tendini, spesso visibili a livello del tendine di Achille o delle mani.
- Xantelasmi: placche giallastre attorno alle palpebre.
- Arco corneale: un alone biancastro intorno alla cornea, più comune in età avanzata ma talvolta presente precocemente nei pazienti con dislipidemia genetica.
La diagnosi di dislipidemia
Per diagnosticare una dislipidemia è sufficiente un prelievo di sangue per misurare i livelli di colesterolo totale, LDL, HDL e trigliceridi a digiuno.
Ogni quanto controllare il colesterolo? Le linee guida suggeriscono:
- Adulti sani: ogni 4-6 anni.
- Persone con fattori di rischio cardiovascolare (familiarità, fumo, diabete, ipertensione, obesità): ogni 1-2 anni.
- Persone con diagnosi di dislipidemia o in trattamento: controlli regolari secondo indicazione medica.
Si può prevenire la dislipidemia?
Le linee guida per affrontare la dislipidemia sottolineano l’importanza di intervenire prima di tutto sullo stile di vita, eventualmente integrando una terapia farmacologica quando necessario. Tra i cambiamenti consigliati, l’attività fisica regolare gioca un ruolo cruciale nella gestione di sovrappeso e obesità: almeno 150 minuti a settimana di esercizio aerobico (camminata veloce, corsa, nuoto o ciclismo) aiutano a migliorare il metabolismo lipidico.
Sul fronte alimentare, la prevenzione delle dislipidemie passa attraverso una dieta mediterranea, basata prevalentemente su alimenti di origine vegetale, ricchi di fibre, antiossidanti e grassi salutari. Questa dieta aiuta a mantenere un profilo lipidico equilibrato, riducendo i livelli di colesterolo LDL e di trigliceridi, mentre favorisce l’aumento del colesterolo HDL (“buono”).
È essenziale ridurre il consumo di:
- Zuccheri raffinati: presenti in dolci, bevande zuccherate, prodotti da forno industriali e snack confezionati. Questi alimenti contribuiscono all’aumento della glicemia e favoriscono l’accumulo di grassi nel sangue.
- Grassi saturi: contenuti in carni rosse, burro, margarina, formaggi non scremati, fritti e prodotti industriali. Questi grassi favoriscono l’aumento del colesterolo LDL e l’infiammazione vascolare.
- Alcol: un consumo eccessivo può aumentare i trigliceridi e il rischio di malattie cardiovascolari. Si consiglia di limitarlo a un massimo di un bicchiere di vino al giorno.
Un’alimentazione equilibrata deve includere:
- Frutta e verdura: ricche di fibre, vitamine e antiossidanti che aiutano a ridurre lo stress ossidativo e l’infiammazione. Si consiglia di consumarne almeno 5 porzioni al giorno, privilegiando frutta di stagione.
- Proteine magre: preferire il pesce (soprattutto azzurro come sgombro e salmone, ricco di omega-3), il pollo, il tacchino, i legumi e le uova, evitando tagli grassi di carne rossa.
- Cereali integrali: pane, pasta, riso, quinoa e farro integrali contribuiscono a mantenere stabili i livelli di zuccheri nel sangue e migliorano la salute cardiovascolare.
- Frutta secca e semi: noci, mandorle, semi di lino e di chia contengono grassi buoni che migliorano il profilo lipidico. Tuttavia, vanno consumati con moderazione a causa dell’elevato apporto calorico.
- Legumi: ceci, fagioli, lenticchie e piselli sono una fonte eccellente di proteine vegetali e fibre, contribuendo alla riduzione del colesterolo LDL.
- Olio extravergine d’oliva: ricco di acidi grassi monoinsaturi e polifenoli, aiuta a ridurre il rischio di malattie cardiovascolari.
Oltre alla dieta, smettere di fumare è una delle misure più efficaci per ridurre il rischio cardiovascolare. Il fumo favorisce l’infiammazione dei vasi sanguigni, accelera la formazione di placche aterosclerotiche e aumenta il rischio di infarto e ictus. Dopo pochi mesi dall’abbandono del fumo, i benefici cardiovascolari iniziano a essere evidenti, con un netto miglioramento del profilo lipidico.
Come si cura la dislipidemia?
Il trattamento delle dislipidemie varia a seconda dei livelli di lipidi nel sangue e delle condizioni generali del paziente e può prevedere l’uso di farmaci o integratori specifici, sempre sotto indicazione medica.
Gli integratori alimentari, noti anche come nutraceutici, sono utili per regolare il metabolismo dei grassi. Tra quelli più comuni si trovano la berberina, i policosanoli, le fibre solubili come i betaglucani, i fitosteroli e il riso rosso fermentato, che deve la sua popolarità alla presenza di monacolina K, una sostanza con effetti ipocolesterolemizzanti.
Nel caso si renda necessario intervenire con i farmaci, vi sono varie opzioni terapeutiche
- Statine: sono i farmaci più utilizzati per ridurre il colesterolo LDL (“cattivo”). Agiscono inibendo l’enzima HMG-CoA reduttasi, responsabile della sintesi del colesterolo nel fegato. Esempi includono atorvastatina, simvastatina e rosuvastatina.
- Inibitori dell’assorbimento del colesterolo: come l’ezetimibe, riducono l’assorbimento intestinale del colesterolo alimentare, abbassando i livelli di LDL nel sangue. Sono utilizzati da soli o in combinazione con le statine.
- Leganti degli acidi biliari: questi farmaci (colestiramina, colestipol, colesevelam) si legano agli acidi biliari nell’intestino, impedendone il riassorbimento e costringendo il fegato a consumare più colesterolo per produrne di nuovi, riducendo così i livelli di LDL.
- Derivati dell’acido fibrico (fibrati): farmaci come fenofibrato e gemfibrozil riducono principalmente i trigliceridi e aumentano i livelli di colesterolo HDL (“buono”), modulando l’attività dei recettori PPAR-α coinvolti nel metabolismo lipidico.
- Integratori di grassi omega-3: gli acidi grassi omega-3 (EPA e DHA), presenti in oli di pesce e formulazioni farmaceutiche, aiutano a ridurre i trigliceridi e hanno effetti antinfiammatori e cardioprotettivi.
- Niacina (vitamina B3): può aumentare il colesterolo HDL e ridurre i trigliceridi.
- Acido bempedoico: un farmaco relativamente nuovo che inibisce un enzima coinvolto nella sintesi epatica del colesterolo, riducendo i livelli di LDL. È spesso utilizzato in combinazione con statine nei pazienti che necessitano di un’ulteriore riduzione del colesterolo per raggiungimento del target terapeutico.
In casi particolari, quando il paziente ha patologie cardiovascolari e non tollera le statine o in aggiunta alle stesse se non è stato raggiunto il livello di colesterolo ottimale, si può ricorrere all’inclisiran e agli anticorpi monoclonali inibitori del PCSK9 (come alirocumab e evolocumab). Entrambi agiscono bloccando, con modalità differenti, il PCSK9, una proteina che degrada i recettori epatici del colesterolo LDL. Aumentando questi recettori, il fegato rimuove più LDL dal sangue.
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