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Dalla chirurgia alla radioterapia: curare il tumore al seno

Il tumore al seno si sviluppa da una moltiplicazione incontrollata di cellule “anomale” della ghiandola mammaria (formata dalle strutture che producono il latte, lobuli e dotti e dal tessuto adiposo e stroma) che, con il passare del tempo, si può estendere ai tessuti circostanti e/o creare pericolose metastasi in altri organi. Si tratta del cancro più diffuso nel sesso femminile e si trova ad affrontarlo ben 1 donna su 8, infatti è la prima causa di morte per tumore nelle donne tra i 40 e i 55 anni. 

Approfondiamo l’argomento con il dottor Andrea Sagona, senologo in Humanitas.

Tumore al seno: i fattori di rischio

Quasi tutti i tumori della mammella sono di origine ghiandolare (lobulare 25% e duttale 70%), mentre circa il 5% del totale sono tipi di tumore più rari. Il tipo più comune, origina dalle cellule che rivestono i dotti e prende il nome di “duttale”( ora rinominato non speciale). Il secondo in ordine di frequenza si chiama “lobulare” perché origina dai lobuli. I carcinomi, indipendentemente dal tipo (duttale o lobulare) sono suddivisi in carcinomi in situ (confinati alla mammella) e carcinomi infiltranti, cioè capaci di invadere con le loro cellule, i vasi linfatici ed ematici e ,dunque, di dare metastasi. Se diagnosticato allo stadio iniziale, la percentuale di guarigione è alta, fino al 98% a 5 anni, mentre decresce negli stadi più avanzati.

Fattori implicati nello sviluppo del tumore mammario sono:

  • avere dei parenti affetti da tumore al seno: più il grado di parentela è stretto più aumenta il rischio;
  • mutazioni genetiche, ad es. BRCA1 e BRCA2: una mutazione di uno o entrambi questi geni causa un aumento del rischio di ammalarsi di tumore alla mammella e all’ovaio;
  • età: l’incidenza aumenta con l’età, raddoppiando ogni 10 anni fino alla menopausa;
  • Storia ginecologica: menarca precoce (primo ciclo prima degli 8 anni) e una menopausa tardiva (ultimo ciclo dopo i 55 anni) aumentano il rischio di sviluppare un cancro della mammella, per via della più prolungata esposizione agli ormoni femminili della stessa;
  • Stili di vita: consumo elevato di alcolici, obesità, elevato consumo di grassi animali e il fumo di sigaretta aumentano il rischio di ammalarsi di tumore alla mammella.

Vi sono varie possibilità di trattamento, in modo da fornire alle pazienti (e ai seppur rari pazienti di sesso maschile) la cura adatta e più personalizzata possibile, che possa garantire la massima sicurezza oncologica, a fronte di una qualità di vita il più possibile paragonabile a quella precedente alla diagnosi.

Tumore al seno: limportanza della diagnosi precoce

Per trattare adeguatamente un tumore è importantissimo il processo di diagnosi, effettuata quanto più precocemente possibile. Se il tumore viene scoperto quando è ancora molto piccolo, infatti, vi sono ottime possibilità di guarire.

Strumento fondamentale è la mammografia, una metodica radiologica che permette di evidenziare noduli anche molto piccoli, non ancora palpabili all’esame manuale o gruppi di microcalcificazioni (piccoli aggregati di depositi di calcio), che potrebbero essere la spia di una patologia mammaria.  In Italia, il programma di prevenzione del tumore della mammella offre a tutte le donne di età compresa tra 45 e 74 anni un esame mammografico gratuito ogni 2 anni (screening mammografico), a cui la popolazione femminile è invitata a partecipare. A supporto della mammografia, e soprattutto nelle pazienti più giovani, si impiega l’ecografia, che utilizza le riflessioni di un fascio di ultrasuoni per formare un’immagine accurata del tessuto mammario. Permette di stabilire la natura di un nodulo, differenziando i noduli solidi dalle cisti e può essere usata come guida per esami bioptici. 

La risonanza magnetica nucleare (RMN) che utilizza i campi magnetici per elaborare immagini dettagliate delle strutture interne dell’organismo, viene utilizzata come esame di “secondo livello” per chiarire quadri che non sono chiari alla mammografia e all’ecografia, oppure in situazioni particolari, come le pazienti sottoposte a terapie preoperatorie di riduzione del tumore, monitoraggio dello stato delle protesi etc. 

L’agobiopsia, invece, permette di prelevare dal nodulo mammario alcuni campioni di tessuto utilizzando un ago, previa iniezione di anestetico locale. Il materiale prelevato viene analizzato e permette di fornire quasi tutte le informazioni necessarie per caratterizzare il tumore . 

Trattamento del tumore alla mammella

La malattia può presentarsi in diverse forme istologiche (in situ o infiltrante) e a diversi stadi (definiti da dimensione del tumore, interessamento dei linfonodi o metastasi a distanza). La scelta della terapia, dunque, dipende da diversi fattori, per esempio le caratteristiche istologiche e biologiche del tumore e le peculiarità della paziente (come l’età o la presenza di altre malattie), che possono influire sulla storia clinica della patologia e sulla risposta alla terapia.

Le strategie terapeutiche constano in trattamenti loco-regionali (come chirurgia e radioterapia) e terapie adiuvanti (parliamo di: chemioterapia, ormonoterapia, terapia a bersaglio molecolare) che vengono attuate a seguito dell’intervento, allo scopo completare il trattamento loco-regionale. La scelta della terapia adiuvante più adatta al singolo caso dipende dal profilo del tumore e dunque dal rischio individuale che il tumore si ripresenti o che si sviluppino metastasi. In virtù dell’integrazione ottimale di tali procedure terapeutiche, negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a un sensibile incremento della sopravvivenza delle pazienti. 

Nelle forme di tumore localizzate si procede alla rimozione chirurgica del tumore e di una piccola parte del tessuto circostante. In questo caso gli specialisti cercano sempre di ricorrere a una chirurgia di tipo conservativo (quadrantectomia), che, garantisce i migliori risultati estetici, soprattutto quando associata a tecniche di rimodellamento del tessuto ghiandolare residuo secondo tecniche di chirurgia plastica/estetica. Se il tumore è più grosso, in rapporto alle dimensioni della mammella, oppure diffuso in più quadranti, potrebbe essere necessario asportare tutta la mammella (mastectomia) e effettuare una ricostruzione con protesi, solitamente contestuale all’intervento demolitivo. Se la diagnosi è di tumore non infiltrante (tumore in situ), l’intervento chirurgico prevede l’asportazione del tumore garantendo un minimo margine di tessuto sano intorno (quadrantectomia o mastectomia in base alla estensione della malattia). Se la diagnosi, invece, è di tumore infiltrante, la paziente verrà sottoposta prima ad esami di stadiazione (ecografia addome, Rx torace, PET e/o TC, scintigrafia ossea), per valutare l’estensione della malattia anche in altri organi e definire i trattamenti successivi. In questo caso, se la malattia non coinvolge altri organi, l’intervento chirurgico, oltre alla asportazione del tumore mediante quadrantectomia o mastectomia, prevederà l’asportazione del linfonodo sentinella, cioè di quel linfonodo nel cavo ascellare che potrebbe contenere cellule del tumore che hanno metastatizzato attraverso i vasi linfatici e verso i linfonodi ascellari, che sono una delle più frequenti sedi di localizzazione extramammaria del tumore. In caso di chirurgia conservativa non si procede più all’asportazione di tutti i linfonodi ascellari, come si faceva una volta, perché diversi studi hanno dimostrato l’inutilità di questa procedura, spesso associata ad effetti collaterali importanti, quali il gonfiore cronico del braccio. In caso di mastectomia invece, se il linfonodo sentinella risultasse malato, si asporteranno i linfonodi ascellari in blocco.

Radioterapia

A seguito dell’asportazione del tumore, viene utilizzata una terapia fisica per diminuire il rischio che la patologia si ripresenti: la radioterapia. Questo accade nella quasi totalità dei casi sottoposti a chirurgia conservativa ed in casi selezionati dopo mastectomia (tumori grossi o con importante malattia nei linfonodi). La radioterapia, consente di prevenire la formazione di nuovi carcinomi e diminuire il rischio di recidiva sulla zona trattata, mediante l’utilizzo di radiazioni ionizzanti (generalmente i raggi x) per eliminare le cellule tumorali residue e sterilizzare la zona adiacente la neoplasia (sede dell’80% dei casi delle recidive), impedendo così una nuova proliferazione di cellule malate a livello locale. La zona trattata dalla radioterapia viene stabilita in base al tipo di chirurgia mammaria, alle caratteristiche biologiche del tumore e all’interessamento o meno dei linfonodi. Si tratta di una terapia ormai sempre più personalizzata sulle esigenze cliniche della singola paziente.

Terapia ormonale

Sono farmaci che vengono somministrati a seguito dell’intervento chirurgico e che la paziente può dover prendere per un tempo prolungato (anni), La terapia ormonale è utile per quei tumori che risultano positivi alla presenza sulla superficie cellulare dei recettori per gli estrogeni e/o per il progesterone. Questi ormoni, infatti, stimolano la crescita del tumore e i farmaci ormonali, con la loro azione a bersaglio, ne inibiscono l’azione.

Chemioterapia

La chemioterapia consiste nella somministrazione di più farmaci, generalmente per via endovenosa (ma in alcuni casi anche tramite compresse), in modo tale che il farmaco, trasportato dal flusso sanguigno, si diffonda nell’organismo e vada ad aggredire le cellule cancerose. La chemioterapia diventa poi fondamentale per i tumori che non esprimono i recettori ormonali, o nelle forme a più alto rischio di recidive (tumori grossi, molti linfonodi coinvolti etc). 

Sono stati sviluppati nuovi farmaci biologici diretti in maniera selettiva contro le cellule del tumore (anticorpi monoclonali tipo trastuzumab), o che stimolano la risposta immunologica dell’organismo contro le cellule tumori (atezolizumab).

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