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COVID-19: l’infezione, i sintomi, e il tampone per la diagnosi

COVID-19 è ormai un termine entrato nella nostra quotidianità: è l’acronimo di CO (rona) VI (rus) D (isease), che, in inglese, significa malattia da nuovo Coronavirus, con l’aggiunta del numero 19 che si riferisce all’anno della comparsa del virus SARS-CoV-2, prima di allora sconosciuto, responsabile di COVID-19. 

Il virus appartiene alla famiglia dei Coronavirus, e come indica il nome, si tratta di virus accomunati dalla particolare forma a corona: sono cioè dotati di un nucleo centrale dalla cui superficie dipartono delle punte che ricordano, appunto, le sommità di una corona.

Questi virus si trovano in natura, in particolare in animali quali i pipistrelli e i cammelli, ma hanno un potenziale di evoluzione che permette loro di infettare anche l’uomo compiendo il cosiddetto “spillover”, cioè un “salto di specie”. A partire dagli anni ‘70, e fino ai giorni nostri, sono state identificate sette specie di CoV che hanno compiuto il salto di specie. Tra i virus già noti compresi nella famiglia dei Coronavirus, possiamo ricordare in particolare il responsabile della Sindrome Respiratoria Mediorientale (o MERS, acronimo di Middle East Respiratory Syndrome) e quello che causa la Sindrome Respiratoria Acuta Grave (o SARS, acronimo di Severe Acute Respiratory Syndrome).  

Il virus SARS-CoV-2 è stato così denominato dalla commissione apposita deputata alla classificazione dei virus (l’International Committee on Taxonomy of Viruses), a sottolineare il legame con il CoV responsabile della SARS. 

COVID-19: come avviene il contagio 

I principali veicoli di trasmissione del virus sono i droplet, cioè le secrezioni in forma di goccioline che produciamo naturalmente con il respiro. Le goccioline sono troppo pesanti per riuscire a rimanere sospese nell’aria e, cadendo, possono aderire a diverse superfici. 

Possono passare da una persona all’altra grazie per esempio a un colpo di tosse, uno starnuto e contatti ravvicinati, compresi baci, abbracci e strette di mani. Le mani, infatti, possono risultare facilmente contaminate (basta portarle alla bocca quando si tossisce, maneggiare un fazzoletto sporco o toccare una superficie contaminata) e diventare veicolo di trasmissione, soprattutto se, senza lavarle o igienizzarle, ci si tocca gli occhi, il naso o la bocca, possibili vie di ingresso del virus nell’organismo.

Igiene delle mani e mascherina per prevenire l’infezione

Per limitare l’esposizione alle goccioline infette è bene rispettare alcune importanti norme relative alle abitudini quotidiane.

Meglio starnutire e tossire sempre in un fazzoletto (da gettare nell’immondizia subito dopo l’uso) o nell’incavo del gomito.

Le mani vanno lavate frequentemente (e sempre dopo essersi soffiati il naso o dopo aver tossito e starnutito) con acqua e sapone per almeno 20 secondi, o con un disinfettante apposito (contenente almeno il 60% di alcol). 

Occorre evitare il più possibile di toccarsi occhi, bocca o naso, soprattutto senza prima aver lavato correttamente le mani. 

L’uso della mascherina è fondamentale, in luoghi chiusi e anche all’aperto. 

Quando si incontrano altre persone, occorre mantenere una distanza di almeno un metro, evitando ogni tipo di contatto ravvicinato e diretto (come le strette di mano o gli abbracci) e ogni forma di assembramento in generale. 

I sintomi di COVID-19

Avvenuto il contagio, per la manifestazione dei primi sintomi intercorre un lasso di tempo variabile, che, secondo le stime, va da 2 a 14 giorni.

Va però precisato che vi sono anche casi asintomatici, per cui l’individuo, pur avendo contratto il virus, non manifesta nessuno dei sintomi che vi sono tipicamente associati. Il soggetto asintomatico può comunque contagiare altre persone. 

I sintomi di COVID-19 sono piuttosto simili a quelli influenzali, ma possono variare molto in termini di gravità. Tra quelli più comuni troviamo:

  • febbre pari o superiore a 37,5°
  • tosse improvvisa, 
  • mal di gola 
  • ageusia (ovvero perdita del gusto) 
  • anosmia o iposmia (ovvero perdita o diminuzione dell’olfatto) 
  • difficoltà nella respirazione 
  • naso che cola
  • diarrea (più comunemente nella popolazione infantile). 

In presenza di questi sintomi, è fondamentale rimanere a casa, limitando il più possibile il contatto anche con i membri del proprio nucleo familiare, e avvertire il proprio medico di base (o il pediatra in caso di minori) che saprà fornire informazioni più specifiche sul da farsi e potrà prescrivere un tampone molecolare per accertare l’infezione. 

In particolare, occorre non sottovalutare e riferire rapidamente al proprio medico:

  • dolori respiratori
  • forte senso di spossatezza 
  • febbre a 37,5° che perdura per più di 5 giorni consecutivi (o per più di 2, se supera i 39°)
  • saturazione inferiore al 94%.

Ossigenazione del sangue: perché si usa il saturimetro

La saturazione è la percentuale di emoglobina (la proteina presente nei globuli rossi del sangue) satura di ossigeno e, quindi, indica il livello di ossigenazione sanguigna. La misurazione della saturazione è detta saturimetria (ma anche pulsossimetria o ossimetria) e si tratta di un parametro importante per valutare l’andamento di COVID-19. Se, infatti, quando si è in buone condizioni di salute, la saturazione è di circa il 98-100%, mentre l’abbassamento del valore sotto il 94% può segnalare una compromissione più o meno importante degli alveoli polmonari e quindi dei polmoni, anche in assenza di altri sintomi.

Gli alveoli polmonari sono la sede in cui avvengono gli scambi gassosi tra aria e sangue: è lì che l’emoglobina del sangue si libera dell’anidride carbonica (che verrà eliminata con l’espirazione) e si carica di ossigeno (che proviene dall’esterno attraverso l’inspirazione), per portarlo a tutti gli organi e i tessuti che ne hanno bisogno. Senza ossigeno a sufficienza le cellule del corpo non possono produrre energia e, quindi, sopravvivere.

Per misurare l’ossigenazione del sangue occorre utilizzare un saturimetro (pulsossimetro o ossimetro): uno strumento di piccole dimensioni e di facile utilizzo, che può essere acquistato in farmacia, e consente di ottenere una valutazione attendibile del livello di ossigenazione sanguigna. Il saturimetro va applicato all’estremità di un dito, come se fosse una molletta. Bastano quindi pochi secondi per leggere, sul display di cui è dotato, la percentuale di saturazione rilevata.

I test per la diagnosi di COVID-19

Per accertare la presenza del virus SARS- CoV-2 nell’organismo sono stati messi a punto tre diversi tipi di test: molecolari, antigenici e sierologici. Non hanno, però, tutti uguale valenza diagnostica. 

Tampone molecolare

La diagnosi di COVID-19 si basa su protocolli “Real Time PCR” per SARS-CoV-2 approvati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dove Real Time PCR sta a indicare una particolare tecnica di analisi molecolare che permette di ricercare il materiale genetico (genoma) del virus all’interno di un campione.

Il test molecolare di riferimento cui si fa principalmente ricorso e ritenuto più affidabile per la diagnosi, è quello che viene eseguito su un campione di secrezioni delle vie respiratorie prelevato attraverso un tampone naso/faringeo o salivare.

Un lungo bastoncino cotonato viene inserito in entrambe le narici e nel cavo orale per prelevare il materiale biologico che riveste le cellule superficiali della mucosa del rinofaringe (la parte superiore del tratto respiratorio) e dell’orofaringe (la parte della faringe posta dietro al cavo orale). Il campione sarà poi sottoposto ad analisi molecolare presso un laboratorio accreditato (secondo le modalità concordate con il Laboratorio di Riferimento Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità). 

Si tratta di un esame rapido e indolore, anche se al momento dell’inserimento del tampone si può avvertire un leggero fastidio. Essendo un test sicuro e semplice, non vi sono particolari controindicazioni e possono esservi sottoposte persone di qualsiasi età o condizione di salute.

Per la sicurezza ed efficacia del test è fondamentale, però, che a eseguire il tampone sia personale qualificato. Non è invece necessaria alcuna preparazione preliminare da parte del paziente. Per i risultati, in linea generale è necessario attendere 24-48 ore.

Se il tampone è positivo: isolamento

Se il tampone molecolare dà esito positivo e si hanno sintomi, occorre rispettare un isolamento di 10 giorni, calcolati a partire dalla comparsa dei sintomi. Se è difficile identificare il momento della loro insorgenza, l’isolamento comincia contando a partire dal giorno del tampone. 

Dopo 3 giorni consecutivi senza sintomi (che possono anche far parte dei 10 giorni di isolamento), bisogna poi sottoporsi a un nuovo tampone molecolare. 

Se il tampone molecolare dà esito positivo ma non si hanno sintomi, bisogna rimanere in isolamento per almeno 10 giorni dal momento del tampone e eseguirne uno nuovo al termine di questo lasso di tempo.

Se il secondo tampone dà esito negativo, si può riprendere la vita di tutti i giorni, nel rispetto delle misure sanitarie in vigore prescritte per il contenimento della pandemia.

In caso di un nuovo esito positivo, invece, occorre continuare l’isolamento per 7 giorni, passati i quali va fatto un nuovo test molecolare. Anche se quest’ultimo risulta nuovamente positivo, dopo 21 giorni dall’esecuzione del primo tampone (e, per i sintomatici, dopo almeno una settimana senza sintomi) l’isolamento cessa, perché non si è più ritenuti contagiosi (salvo diverse indicazioni fornite dalle autorità sanitarie competenti).  

L’isolamento presuppone una separazione tra individui con diagnosi accertata di COVID-19 e individui sani, anche all’interno dello stesso nucleo familiare.  

Il contatto stretto di un positivo: la quarantena

Tutti coloro che hanno avuto contatti stretti con un portatore del virus (sintomatico o asintomatico), la cui positività è stata accertata tramite tampone molecolare, dovranno rispettare un periodo di quarantena, la cui durata sarà calcolata a partire dal giorno in cui è avvenuto il contatto. 

In genere, in caso di contatto stretto, la quarantena da rispettare ha una durata di 14 giorni, durante i quali bisogna rimanere a casa e limitare i contatti quanto più possibile anche con i propri conviventi per evitare di esporli al rischio di un potenziale contagio. La quarantena può avere una durata minore se, al decimo giorno, ci si sottopone a un tampone molecolare per un accertamento diagnostico e si ha esito negativo.  Conclusa la quarantena, se non sono comparsi sintomi, si può ritornare in comunità. Se, invece, compaiono sintomi, occorre rivolgersi al medico di base che potrà valutare l’esecuzione di un tampone molecolare.

Per contatto stretto di una persona infetta si intendono:

  • i conviventi,
  • coloro che hanno avuto un contatto fisico con essa, come una stretta di mano compresa,
  • coloro che vi hanno conversato di persona, rimanendo ad una distanza inferiore ai 2 metri per almeno 15 minuti,
  • coloro che si sono trovati in un ambiente chiuso con la persona infetta senza indossare l’adeguato dispositivo di protezione (la mascherina) e rispettare le misure di distanziamento.

Tampone rapido antigenico

A differenza del test molecolare, il test antigenico non ricerca il genoma virale o parti di esso, ma alcune componenti proteiche del virus (definite “antigeni”).

L’esame viene effettuato su un campione prelevato con un tampone naso/faringeo o su un campione di saliva. 

Peculiarità dei test antigenici è la rapidità (tanto che sono comunemente chiamati test rapidi) perché in genere già dopo 5-30 minuti dall’esecuzione si ha il risultato, a seconda del kit utilizzato. 

La sensibilità del test rapido è inferiore rispetto a quelle del test molecolare e questa inferiorità è particolarmente evidente in presenza di ridotte concentrazioni di materiale genomico nel campione analizzato. La sensibilità è una caratteristica specifica del test utilizzato e indica la sua capacità di identificare correttamente gli individui affetti, in questo caso portatori di materiale genetico o parti di esso del virus SARS-CoV-2.

Il test può restituire, infatti, risultati falsi-negativi, soprattutto per via della quantità di materiale genetico presente nel campione e del ridotto periodo temporale tra l’esposizione al virus e la comparsa dei sintomi, inferiore a quello del test molecolare, e durante il quale il test rapido è positivo.

I test rapidi antigenici forniscono, inoltre, risultati falsi-positivi e, quindi, questi risultati devono essere sempre confermati con indagini molecolari.

Se il tampone rapido è positivo

Nei contesti a bassa prevalenza di circolazione di varianti del virus, se il risultato del test rapido è positivo occorre sottoporsi a un tampone per il test molecolare per confermare la presenza di infezione oppure, in caso di mancata disponibilità del test molecolare, sottoporsi a un test antigenico differente, per eliminare la possibilità di risultati falsi positivi.

In pazienti sintomatici o in coloro che hanno avuto contatti con casi confermati di COVID-19 è consigliabile confermare la negatività del test, sottoponendosi a tampone per il test molecolare o a test antigenico differente. Una necessità rafforzata dalla possibile circolazione di varianti virali con mutazioni a carico della proteina N, che è il principale antigene target utilizzato in questi test.

Test sierologico

Il test sierologico ricerca nel sangue del paziente gli anticorpi diretti contro il SARS-CoV-2, prodotti una volta che il sistema immunitario è entrato in contatto con il virus. 

In particolare viene valutata la presenza di anticorpi IgM (immunoglobuline M) e IgG (immunoglobuline G): le IgM vengono prodotte subito dopo l’entrata in contatto con il virus, mentre le IgG vengono prodotte più tardi ma persistono più a lungo. Rilevare questi anticorpi nel sangue indica quindi che l’organismo è entrato in precedenza in contatto con il virus, ma non indica quando. 

Si distinguono due tipologie di sierologico:

  • qualitativo (anche detto rapido): su una sola goccia di sangue prelevata pungendo un polpastrello con un pungidito si valuta la presenza o meno degli anticorpi;
  • quantitativo: su un campione di sangue ottenuto con un normale prelievo (quindi normalmente viene svolto al mattino a digiuno) non solo si individua l’eventuale presenza degli anticorpi, ma se ne fa anche il dosaggio, cioè si individuano le quantità presenti.

Il test sierologico è poco utile per segnalare un’infezione in corso e quindi non ha una valenza diagnostica: l’esito positivo, infatti, indica semplicemente che il sistema immunitario del soggetto, in un determinato ma non meglio precisato momento della sua vita, ha reagito all’infezione da parte del SARS-CoV-2 producendo i relativi anticorpi. Tale esame è da considerarsi utile principalmente a scopo epidemiologico, per stimare la diffusione dell’epidemia in una determinata area, a livello nazionale e/o locale. 

COVID-19: le tre fasi dell’infezione

Il Ministero della Salute ha descritto il decorso clinico della malattia in tre fasi: non necessariamente, però chi si ammala le sperimenta tutte e tre.

Ingresso del virus nell’organismo. Il SARS-CoV-2 penetra tramite le vie aeree e si lega all’enzima ACE2 (enzima di conversione dell’angiotensina 2), che si trova sulle cellule dell’epitelio polmonare e che gioca un ruolo importante non solo nella regolazione della pressione sanguigna, ma anche nella difesa del polmone da eventuali infezioni e infiammazioni che possono comprometterne le normali funzioni. Quando il virus si lega all’ACE2, quindi, va a ostacolare il corretto funzionamento dell’enzima, compromettendone il ruolo protettivo. 

Una volta penetrato nella cellula, il virus comincia a replicarsi ed è in questa fase che si ha una prima comparsa di sintomi lievi quali tosse secca, febbre e un senso di malessere generale. 

Nella maggior parte dei casi, il sistema immunitario riesce a porre un freno all’infezione, portando a un decorso benigno della malattia. 

Alterazioni polmonari. In alcuni casi l’infezione evolve e arriva a danneggiare i polmoni: il virus causa una polmonite interstiziale, non di rado bilaterale. I sintomi respiratori possono essere inizialmente limitati ma possono anche portare all’insufficienza respiratoria. 

Tempesta citochinica. In un numero limitato di casi, la malattia si aggrava a causa di un’azione continua e senza controllo delle citochine, proteine che normalmente “avvisano” le cellule del sistema immunitario perché si attivino a difesa dell’organismo. Tale azione continua e incontrollata è definita tempesta citochinica e porta a uno stato di eccessiva infiammazione con conseguenze locali e sistemiche (cioè a livello di tutto l’organismo), e il rischio di lesioni polmonari gravi e anche permanenti (fibrosi). 

Il quadro può ulteriormente peggiorare portando allo sviluppo di sindrome da distress acuto respiratorio (o ARDS) e, a volte, alla formazione di trombi nei piccoli vasi sanguigni, alterando o bloccando del tutto il normale flusso circolatorio (fenomeni di coagulazione intravascolare disseminata).

COVID-19: i cinque stadi di malattia

Tenendo conto del decorso dell’infezione e dei criteri radiologici, i National Institutes of Health (NIH) statunitensi hanno classificato COVID-19 in cinque stadi clinici, di diversa gravità.

Infezione asintomatica o pre-sintomatica: c’è la diagnosi di infezione, ma i sintomi non sono presenti (infezione asintomatica) o non lo sono ancora (infezione presintomatica). Il soggetto è comunque contagioso.

Malattia lieve: sono presenti sintomi di lieve entità, come febbre, tosse, mal di testa, dolori muscolari, malessere generale e alterazione del senso del gusto. Non sono invece presenti difficoltà respiratorie né alterazioni identificabili tramite radiografia. 

Malattia moderata: è presente polmonite, accertata clinicamente o tramite radiografia, e una saturazione pari o superiore al 94%. 

Malattie severa: la saturazione è inferiore al 94%. 

Malattia critica: sono presenti sintomi gravi come insufficienza respiratoria, shock settico e/o insufficienza a livello di uno o più organi.

Risultano generalmente esposte a un rischio maggiore di sviluppare le forme più gravi della malattia le persone:

  • con più di 70 anni;
  • affette da patologie quali ipertensione arteriosa, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, diabete mellito, insufficienza renale, malattia coronarica e patologie respiratorie croniche; 
  • con sistema immunitario compromesso (a causa di patologie congenite o acquisite, trapianti subiti precedentemente o di trattamenti in corso a base di farmaci immunosoppressori).

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