Con ipoglicemia intendiamo un valore di glicemia (ovvero di glucosio nel sangue) inferiore ai canonici limiti di normalità, ovvero a 70 mg/dl. I pazienti più a rischio sono quelli diabetici che, a causa dell’insulina, rischiano di incorrere in episodi anche gravi.
Approfondiamo l’argomento con i professionisti di Humanitas.
Glicemia bassa: le cause
La prima causa di ipoglicemia è legata all’assunzione dei farmaci per trattare il diabete: i pazienti più a rischio sono coloro che assumono insulina oppure farmaci cosiddetti “secretagoghi”, che inducono il rilascio di insulina da parte della cellula beta-pancreatica (seppur, auspicabilmente, sempre meno utilizzati, grazie alla messa a punto di nuove molecole che non inducono ipoglicemie).
Tra le altre cause di ipoglicemia si riconoscono:
- meccanismi di tipo disfunzionale (ipoglicemia reattiva post-prandiale);
- esiti di interventi chirurgici allo stomaco (dumping Syndrome);
- tumori o altre patologie a carico di pancreas o fegato;
- esercizio fisico intenso, digiuno prolungato;
- malattie endocrine severe che condizionino una compromissione dei meccanismi controregolatori (deficit surrenalico o ipofisario).
Ipoglicemia e diabete
Il diabete è il risultato di una compromissione dei meccanismi regolatori del metabolismo glucidico, ovvero della produzione e dello smaltimento degli zuccheri.
Di solito, il fattore scatenante è uno scorretto stile di vita (livello di attività fisica inadeguato in proporzione al tipo di alimentazione assunta) che inizialmente comporta un surplus di lavoro per la cellula beta-pancreatica, la quale, per cercare di mantenere dei livelli di zucchero normali nel sangue, si trova costretta a immettere in circolo un maggior quantitativo di insulina (iperinsulinismo) a fronte di una maggior resistenza periferica alla sua stessa azione (insulino-resistenza) indotta dallo stato infiammatorio cronico provocato dal maggior quantitativo di grasso a livello addominale.
In condizioni di insulino-resistenza con iperinsulinismo, l’assunzione di pasti ricchi di carboidrati semplici può scatenare una crisi ipoglicemica attraverso il rapido assorbimento degli zuccheri che raggiungono concentrazioni nel sangue che eccedono il normale set-point, comportando a livello pancreatico un forte rilascio di insulina, la quale, una volta in circolo, vinta la resistenza alla sua azione, potrebbe comportare un abbassamento sostanziale della glicemia e ampie escursioni glicemiche (ipoglicemia reattiva post-prandiale).
Eventi ipoglicemici nel paziente diabetico sono invece più frequentemente imputabili all’iper-correzione di iperglicemie attraverso farmaci, quali l’insulina e agenti secretagoghi, che inducono il rilascio di insulina indipendentemente dai valori di glucosio. I livelli di glicemia del paziente diabetico sono in media più elevati rispetto a quelli del paziente non diabetico, quindi, il paziente diabetico si abitua a livelli di glicemia maggiori e può sviluppare disturbi neurovegetativi tipici dell’ipoglicemia (tremori, stanchezza, sudorazione, fame, nervosismo…) già in presenza di livelli di glicemia più elevati (mediamente 70 mg/dL) rispetto agli individui non diabetici (in genere 55 mg/dL).
I sintomi dell’ipoglicemia
A causa della scarsa specificità dei sintomi e della variabilità interpersonale, il percorso diagnostico è particolarmente complesso. Anche soggetti sani, in condizioni di digiuno prolungato e in alcune situazioni fisiologiche (come ad esempio la gravidanza o l’età pediatrica) in cui vedono aumentare la capacità cerebrale di utilizzare substrati alternativi al glucosio, possono raggiungere glicemie molto basse senza che vi sia una comparsa di sintomi.
Quando presenti, i sintomi più comuni sono:
- tremori;
- sudorazione profusa;
- tachicardia;
- fame;
- stanchezza;
- sonnolenza;
- capogiri/vertigini;
- cefalea;
- confusione mentale;
- difficoltà a parlare;
- difficoltà motorie;
- visione offuscata;
- cambio di umore;
- pallore al volto;
- ansietà;
- perdita di coscienza;
- coma.
Come trattare le diverse forme di ipoglicemia
Il trattamento dell’ipoglicemia dipende dalla gravità e dalla sua causa.
Se il paziente è cosciente, deve ingerire un quantitativo pari a circa 15 grammi di glucosio (es. 3 bustine di zucchero o 3 caramelle fondenti, 100-150 mL di bevanda zuccherata come succo, aranciata, etc), controllando i valori di glicemia tramite misurazione capillare ogni 10-15 minuti. Quando i valori di glucosio saranno in aumento e in maggior sicurezza (> 70 mg/dL) il paziente potrà assumere dei carboidrati complessi, come crackers o fette biscottate.
Se il paziente è incosciente, se disponibile, si deve somministrare una fiala di glucagone intramuscolo (da poco disponibile anche in formulazione “spray” nasale), in modo da rendere accessibili le scorte di glucosio che il nostro organismo ha storato. Quando il paziente riprenderà coscienza, sarà necessario incoraggiarlo a ingerire degli zuccheri come precedentemente spiegato; altrimenti, allertare i soccorsi in modo da poter infondere zuccheri direttamente per via endovenosa e aumentarne i livelli nel sangue.
In caso di ipoglicemie reattive, la strategia terapeutica è l’approccio dietetico. Il paziente va istruito ad assumere pasti iper-frazionati, evitare alcolici e zuccheri semplici (come bevande zuccherate, caramelle, dolciumi, pane bianco, etc), praticare costante esercizio fisico e mantenere il peso forma ideale (che si traduce in un indice di massa corporea indicativamente compreso tra 18 e 25 Kg/m2).
L’obiettivo è quello di prolungare e appiattire l’assorbimento del glucosio assunto così da evitare picchi iperglicemici con conseguente iperinsulinismo responsabile delle ipoglicemie reattive.
Il primo passo deve essere quello di impostare una terapia dietetica basata su pasti bilanciati ad adeguato contenuto di carboidrati, grassi, proteine e fibre. Nel caso in cui la terapia dietetica da sola non fosse sufficiente, la terapia farmacologica con acarbosio (un inibitore dell’alfa-glucosidasi, l’enzima che digerisce lo zucchero poiché possa essere assorbito a livello intestinale) o con metformina possono essere d’aiuto.
Per i casi gravi e resistenti esistono altre opzioni terapeutiche come il diazossido e gli analoghi della somatostatina, che inibiscono il rilascio di insulina, e i corticosteroidi, che contrastano l’azione dell’insulina.
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