Il tumore del colon-retto è una patologia ad alta incidenza e in continua crescita: solo in Italia, dove rappresenta la seconda causa di morte per neoplasia nell’insieme dei due sessi, si registrano 30 mila nuovi casi all’anno, circa 20 ogni 100 mila persone. Fra i Paesi industrializzati, l’Italia rimane comunque uno dei meno colpiti. Questo vantaggio potrebbe dipendere dalla nostra dieta, relativamente povera di grassi: l’associazione tra questo tumore e un’alimentazione ricca di grassi è infatti ormai ben documentata. Nonostante l’aumento della sua incidenza, il tumore del colon-retto è una malattia oggi curabile nella gran parte dei casi. Ai fini della possibile guarigione gioca un ruolo importantissimo la diagnosi precoce. La cura di questa neoplasia, infatti, è strettamente correlata allo stato della malattia al momento della diagnosi: prima viene individuato il tumore, più alta è la sua percentuale di guaribilità.
“Per stato di malattia – spiega il prof. Marco Montorsi, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale III di Humanitas – si intende l’esatta definizione delle dimensioni del tumore, e dell’eventuale presenza di metastasi ai linfonodi (che trasportano la linfa proveniente dal tumore) e in organi distanti, ad esempio il fegato”.
Il golden standard del trattamento per questo tipo di tumore è rappresentato dalla chirurgia, mirata ad asportare la massa neoplastica. Nel caso in cui la malattia interessi anche i linfonodi, al trattamento chirurgico è necessario associare una chemioterapia dopo l’intervento.
“Fondamentale, dunque – spiega il dott. Paolo Pietro Bianchi, capo sezione di Chirurgia Colo-Rettale e Mini-Invasiva dell’Unità Operativa di Chirurgia Generale III di Humanitas e coordinatore della ricerca – lo studio accurato dei linfonodi asportati dal chirurgo in sede di intervento, che consente di verificare con certezza la presenza o l’assenza di cellule tumorali al loro interno. I linfonodi più vicini al tumore, definiti ‘sentinella’ per la loro posizione strategica, sono a più alto rischio di contenere cellule tumorali, e vanno quindi esaminati con maggiore attenzione.
Sono ancora pochi i centri che effettuano, in sede di intervento mini-invasivo, lo studio dei linfonodi sentinella per i tumori del colon, già da anni invece regolarmente eseguito per i tumori della mammella ed i melanomi. In Humanitas abbiamo avviato uno studio di questo tipo nei pazienti che vengono sottoposti ad interventi con tecnica laparoscopica. Lo studio associa i vantaggi della chirurgia mini-invasiva, ormai ampiamente dimostrati da numerosi studi clinici mondiali, alla possibilità di garantire uno studio più preciso dei linfonodi, grazie all’identificazione del sentinella”.
I dati iniziali dimostrano che la possibilità di eseguire una vera e propria mappa del sistema linfatico e delle diverse stazioni linfonodali permette al chirurgo di asportare un maggior numero di linfonodi, seguendo le indicazioni del colorante che viene iniettato nel sistema linfatico. “I risultati preliminari, molto incoraggianti – conclude il dott. Bianchi – sono stati presentati nel corso del Congresso della Società Americana di Chirurgia Gastroenterologica ed Endoscopica (SAGES), la più autorevole Società di Chirurgia Laparoscopica mondiale, svoltosi a Dallas a fine aprile. E non è tutto: lo studio è stato accettato all’American College of Surgeons di Chicago, dove andrò a presentarlo il prossimo ottobre”.
Humanitas sarà inoltre il centro coordinatore di uno studio multicentrico nazionale promosso in collaborazione con l’Istituto Europeo di Oncologia, sull’applicazione dello studio del linfonodo sentinella ai tumori del colon in fase iniziale.
A cura della Redazione
Nell’immagine, il dott. Paolo Pietro Bianchi, coordinatore della ricerca (in alto) e il prof. Marco Montorsi, responsabile di Chirurgia Generale III di Humanitas.
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