L’approccio convenzionale per trattare chirurgicamente i tumori al fegato presuppone l’asportazione di una parte importante del tessuto sano. Grazie al lavoro del professor Guido Torzilli, Direttore della Dipartimento di Chirurgia Generale e della Divisione di Chirurgia Epatobiliare in Humanitas, e della sua èquipe, oggi esistono diverse procedure che consentono di conservare quanto più possibile il fegato e operare pazienti che prima non potevano essere sottoposti a chirurgia.
“Ormai quasi vent’anni fa ho sviluppato una chirurgia di distacco dei tumori dai grossi vasi intraepatici che di recente, insieme al mio gruppo, abbiamo dimostrato che non ha un maggior rischio di lasciare malattia nei pazienti di quanto non l’abbia in quei pazienti dove questa chirurgia non si era resa necessaria. Questo nuovo orizzonte chirurgico ha permesso a pazienti altrimenti non operabili di poterlo essere e quindi di passare da una prospettiva di palliazione a una di cura”, spiega il professore.
Il tunnel epatico
“Grazie a questo nuovo orizzonte chirurgico, insieme al mio gruppo ho sviluppato e proposto alla comunità chirurgica internazionale nuove procedure oncologicamente adeguate e in grado di offrire il trattamento chirurgico a pazienti altrimenti non operabili. Tra queste, c’è il tunnel epatico: inizialmente descritto dal punto di vista tecnico su The Annals of Surgical Oncology nel 2014, è ora in via di pubblicazione sulla più prestigiosa rivista di chirurgia a oggi esistente, The Annals of Surgery, riportando l’esperienza dei primi 20 pazienti operati con questo nuovo tipo di intervento. Nuova operazione cui si è arrivati a piccoli passi, sviluppando negli anni interventi sempre più complessi di cui il tunnel è figlio, e che avevano dimostrato tutti la loro validità per situazioni via via più complesse e altrimenti non gestibili chirurgicamente.
Con il tunnel si è riusciti a standardizzare la rimozione selettiva di tumori che sono sfortunatamente cresciuti proprio nel centro del fegato, imprigionati dai vasi sanguigni che portano dentro e fuori il sangue che attraversa l’organo. Tumori fino a oggi considerati inamovibili se non attraverso interventi che prevedevano la rimozione dell’organo dal corpo del paziente, che tuttavia, gravati da elevati tassi di mortalità, non hanno mai trovato una definitiva standardizzazione nella pratica clinica. Al termine della procedura esita uno spazio cilindrico vuoto che attraversa dall’alto verso il basso il fegato che resta perfettamente funzionante con i vasi che circondavano il o i tumori, prima sbarre di una prigione e ora pareti di un vero e proprio tunnel.
I vasi (vene sovraepatiche) coinvolti sono quelli che scaricano il sangue del fegato dentro la grossa vena che poi lo porta al cuore (vena cava inferiore), quelli che portano il sangue nel fegato (peduncoli glissoniani) e la vena cava inferiore appunto cui il fegato è aggrappato”, precisa il professore.
I bypass naturali
Qualora poi uno dei vasi della prigione risultasse non distaccabile in quanto pressoché chiuso dal tumore, ecco che viene sfruttato l’adattamento del fegato a questa condizione. Una prerogativa di questo complesso e fantastico organo, in precedenza dimostrata proprio dal prof. Torzilli: “Quando il tumore chiude non acutamente una delle tre vene che scaricano il sangue del fegato nel cuore, si aprono dentro l’organo dei bypass tra vena invasa e le vene che le sono accanto. Grazie all’ecografia è possibile trovare questi by pass e preservarli durante la dissezione. Lo si fa programmando un’area di resezione che passi accuratamente a lato di quei by pass. L’intervento dunque crea un tunnel nel fegato, lasciando “evadere” il tumore e ritrovando un fegato libero dall’ospite indesiderato, quasi integralmente preservato e perfettamente funzionante”, conclude il professor Torzilli.
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