Negli ultimi anni lo sviluppo delle tecniche mini-invasive ha caratterizzato l’evoluzione della chirurgia anche in ambito cardiochirugico. Interventi meno traumatici, cicatrici ridotte, meno giorni di degenza e una ripresa dell’attività lavorativa più veloce: ecco alcuni vantaggi che offre la chirurgia mini-invasiva, una metodica che negli ultimi anni si è molto diffusa e che promette sviluppi importanti per il futuro.
Abbiamo intervistato il dott. Vincenzo Arena, responsabile del Dipartimento Cardiovascolare di Humanitas Gavazzeni a Bergamo.
Dott. Arena, a che punto è oggi la cardiochirurgia mini-invasiva?
“La filosofia di base è ridurre al massimo, quando possibile, il gesto chirurgico. La riduzione dell’invasività chirurgica poggia su una modificazione radicale e profonda della tecniche e degli strumenti, che si sono progressivamente evoluti. La stessa sala operatoria si sta sempre più riempiendo di apparecchiature sofisticate e sistemi di visione che si sostituiscono alle tradizionali e pittoresche scialitiche, le lampade da sala operatoria”.
Quali sono gli interventi che si eseguono più frequentemente con le tecniche mini-invasive?
“Le tecniche mini-invasive in ambito cardiochirurgico si differenziano a seconda della parte interessata che si deve operare. Le coronarie sono adagiate sulla superficie esterna del cuore, le valvole sono invece situate all’interno del muscolo cardiaco e possono essere raggiunte solo dopo avere arrestato ed aperto il cuore, mentre sulle prime si può intervenire a cuore chiuso e battente.
La chirurgia coronarica ha sperimentato per prima l’introduzione di tecniche minivasive per la rivascolarizzazione miocardica a cuore battente. La mini-invasività consiste nella possibilità di effettuare interventi di rivascolarizzazione miocardica attraverso piccole incisioni e senza la circolazione extracorporea, con l’uso di stabilizzatori, strumenti che hanno come scopo quello di immobilizzare completamente quella parte di cuore dove risiede il tratto di coronaria interssato dall’intervento. Oggi si possono effettuare by-pass aortocoronarici, anche complessi, in circa il 40/50 per cento dei casi a cuore battente, attraverso una sternotomia (taglio dell’osso) ridotta, oppure con piccole incisioni del torace (MTS, minitoracotomia sinistra), utilizzando l’arteria mammaria interna per rivascolarizzare la principale arteria del cuore (IVA). Questo tipo di rivascolarizzazione è stato anche effettuato presso il nostro ospedale in anestesia peridurale a paziente sveglio”.
Che caratteristiche ha la chirurgia valvolare?
“Tra gli interventi più frequenti ci sono la riparazione o la sostituzione della valvola mitrale o aortica, che presuppongono l’arresto momentaneo della funzione cardiaca, dato che ogni intervento su questi apparati implica per ragioni anatomiche l’apertura delle cavità cardiache o del tratto ascendente dell’aorta. La mini-invasività in questo caso consiste nell’evitare l’accesso tradizionale, che comporta la sezione dello sterno e nel praticare un’incisione che consente di raggiungere unicamente la valvola malata. L’incisione chirurgica varia dai 10 ai 7 fino ai 3 cm. La circolazione extra-corporea è indispensabile e viene impiantata attraverso le arterie femorali con cannule lunghe e flessibili che arrivano fino al cuore. Il chirurgo è guidato da un ecocardiografo che utilizza una sonda introdotta attraverso l’esofago, in grado di fornire immagini molto chiare del distretto cardiaco per interventi di massima precisione. Mentre la valvola mitrale e la tricuspide vengono più spesso riparate, la valvola aortica viene più spesso sostituita. La durata dell’operazione è più breve di quella tradizionale”.
Quali sono i vantaggi per il paziente che viene operato con queste tecniche?
“Un minore traumatismo, una ridotta incidenza di infezioni e un recupero dallo stress chirurgico più veloce. Il paziente viene precocemente reinserito nel suo contesto sociale, l’integrità fisica è maggiormente rispettata”.
Gennaio 2002 – A cura di Francesca Di Fronzo
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