Se ne parla ancora poco e a volte in modo poco preciso, ma il bullismo è un fenomeno che riguarda un numero sempre più considerevole di bambini e ragazzi.
Ne parliamo con la dottoressa Ylenia Canavesio, psicologa e psicoterapeuta dell’età evolutiva di Humanitas PsicoCare.
Per parlare di bullismo, così come suggerisce il principale studioso in materia Dan Olweus, devono esserci tre condizioni fondamentali: intenzionalità, persistenza nel tempo e asimmetria nella relazione, ovvero la vittima deve essere incapace di difendersi.
Il bullismo è infatti contraddistinto da un’interazione tra coetanei caratterizzata da un comportamento aggressivo intenzionale, da uno squilibrio di forza/potere nella relazione e da una durata temporale delle azioni “vessatorie”.
Queste sono le caratteristiche che lo distinguono dalla semplice prepotenza o da un litigio al parchetto (che fanno parte della comune esistenza sociale dei bambini).
Infatti mentre ci sono volte in cui possiamo accidentalmente dire o fare cose che sono offensive per gli altri, è importante sottolineare che il bullismo è un comportamento deliberato, fatto di proposito per far sentire una persona intimidita, minacciata o impotente.
Per queste sue caratteristiche intrinseche è difficile parlare di bullismo alla scuola dell’infanzia, in quanto manca la consapevolezza, l’intenzionalità di fare violenza.
Il bullismo può verificarsi ovunque: a scuola, nei centri di aggregazione, a casa o sul web, e si presenta sotto forme differenti più o meno identificabili poiché può comportare attacchi fisici, verbali (insulti, prese in giro, minacce, danni e altre forme di intimidazione o esclusione) ma anche vessazioni indirette, che colpiscono la sfera psicologica della vittima. Nella maggior parte dei casi l’autore di tali comportamenti agisce nell’ombra al di fuori del controllo degli adulti, anche se spesso cerca degli spettatori (i pari) che possano ammirare la sua condotta.
Gli studi indicano che il fenomeno, che coinvolge in egual modo entrambi i sessi, raggiunge un picco tra gli 11 e i 13 anni e diminuisce man mano che i ragazzi crescono.
L’aggressione fisica esplicita, come calci, percosse e spintoni, è più comune tra i bambini più giovani; l’aggressione relazionale – danneggiare o manipolare le relazioni degli altri, come diffondere voci, ed esclusione sociale – è più comune man mano che i bambini crescono.
Quali sono le cause del bullismo?
Le motivazioni alla base del bullismo sono difficili da individuare e spesso hanno un’origine profonda; possono andare da una mancanza di controllo degli impulsi a problemi di gestione della rabbia, o essere legate più a sentimenti di gelosia o invidia.
È importante ricordare che, non di rado, la causa di questo comportamento è un sentimento di inadeguatezza da parte dell’autore di questi gesti.
Il bullo infatti è un soggetto fragile, sofferente, e mette in atto tale comportamento come riflesso di questa fragilità.
Ecco una panoramica delle principali ragioni per cui i ragazzi possono fare i bulli:
- per sentirsi potenti e avere il controllo della situazione e stabilire un dominio sociale;
- per affrontare sentimenti di rabbia o paura;
- per assecondare la pressione dei pari;
- perché hanno poche competenze sociali e capacità di autocontrollo;
- per affrontare problemi di autostima e fiducia;
- perché sono stati essi stessi vittime di bullismo o di violenza.
Le ragioni alla base di questo comportamento possono essere differenti e le scuole di pensiero riguardo a questo sono ancora molteplici.
Bullismo: ci sono differenze tra maschi e femmine?
Le ragazze hanno le stesse probabilità dei ragazzi di essere bulle, ma solitamente è differente il modo in cui il comportamento disfunzionale viene messo in atto.
Mentre i ragazzi sono più coinvolti in aggressioni dirette e fisiche, è molto più probabile che le ragazze agiscano a un livello più celato.
Tendono infatti a ferire gli altri attraverso la prevaricazione e la violenza psicologica, colpendo cosìla sfera più intima della vittima.
Possono diffondere false voci su qualcuno, distruggere i legami amicali e impegnarsi nell’esclusione sociale.
Che cos’è il cyberbullismo?
Il cyberbullismo è un fenomeno di cui sentiamo parlare da quando nel nostro Paese sulle scrivanie degli adolescenti e dei preadolescenti sono approdati gli smartphone, anche se osservandolo da vicino, il problema non è così nuovo come potrebbe sembrare.
Il cyberbullismo infatti, proprio come il bullismo tradizionale, è una forma intenzionale di prevaricazione e di oppressione reiterata nel tempo, che usa però Internet e le tecnologie digitali per manifestarsi.
Mentre una volta il bullismo era in gran parte confinato alla scuola, le potenzialità e le risorse offerte dalle app di messaggistica e dai social media, danno oggi ai bulli maggior potere d’azione con un accesso costante alle vittime, senza limiti di tempo e spazio: è questo che lo rende ancora più invasivo.
Le aggressioni informatiche possono essere inoltre, ancora più impattanti perché spesso garantiscono l’anonimato di chi le ha agite e questo allenta molti freni inibitori, indebolisce le remore etiche amplificando la ferocia dell’aggressione.
È più facile infatti infliggere dolore e sofferenza agli altri quando chi comunica non è a contatto diretto con l’interlocutore.
Il bersaglio dei bulli: la vittima
Per circa vent’anni, l’attenzione degli studiosi si è concentrata sulle caratteristiche del bullo e sui meccanismi alla base del comportamento aggressivo, ora si sta invece osservando un cambio di rotta, più promettente, che parte dall’individuazione delle potenziali vittime, ovvero che prende in analisi tutti quegli elementi di fragilità che espongono i bambini, fin dalla scuola primaria, al rischio di subire condotte aggressive da parte dei compagni.
Infatti la letteratura mostra che esistono dei fattori individuali e socio familiari che aumentano il rischio di vittimizzazione in età evolutiva.
Uno dei fattori che accomunano le vittime di bullismo, è la scarsa assertività, ovvero la capacità di esprimere e affermare se stessi.
Coloro che vengono scelti come vittime dal bullo, sono generalmente bambini insicuri, che acconsentono facilmente alle richieste dei bulli e non sempre sono in grado di farsi valere.
I segnali che indicano che un bambino potrebbe essere vittima di bullismo
Sono pochissimi i bambini che si rivolgono all’adulto per raccontare quello che gli sta accadendo. Le statistiche del 2018 di Indicators of School Crime and Safety mostrano infatti dei dati poco incoraggianti: ovvero che solo il 20% degli episodi di bullismo scolastico sono stati denunciati e le ragioni sono differenti. In molti casi, il timore delle vittime è quello di sentirsi deboli, vergognarsi o aver paura di peggiorare la situazione.
Ma a questo punto cosa possono fare i genitori? È possibile dall’esterno prestare attenzione ad alcuni segnali di cambiamenti nel bambino, restando tuttavia consapevoli che non sempre le vittime di bullismo mostrano esplicitamente il disagio vissuto.
In linea generale, è possibile riscontrare alcuni segnali legati alla presenza di maggior stress o ansia come agitazione, difficoltà legate al sonno, disattenzione o scoppi d’ira.
È possibile inoltre che un bambino manifesti il proprio disagio attraverso delle somatizzazioni, ovvero veri e propri sintomi fisici, come cefalea, vomito e mal di pancia senza che sia presente un reale riscontro medico di malattia.
A scuola invece si può assistere a un calo improvviso del rendimento e a un impoverimento delle relazioni con i compagni.
Le conseguenze del bullismo
Essere vittima di bullismo porta con sé ripercussioni e vissuti psicologici profondi: sono tantissimi infatti i bambini che soffrono in silenzio, stanno male, vivono delusioni o violenze e si tengono tutto dentro, perché non trovano il coraggio di denunciare l’accaduto per paura o per vergogna.
Tale malessere talvolta viene espresso attraverso il corpo, sviluppando cosi sintomi psicosomatici come mal di pancia, mal di testa o vomito; in altri casi è possibile invece che, chi subisce queste condotte possa presentare, a lungo termine, una sintomatologia più importante, come per esempio ansia, fobia scolastica o sociale.
Tale sofferenza non è però unidirezionale, infatti, come afferma uno studio condotto dall’Association for Psychological Science i danni psicologici che si ripercuotono sulle vittime di bullismo spesso riguardano anche gli autori di questi gesti, ovvero i bulli.
Dai risultati della ricerca è emerso infatti che tanto i bulli quanto le loro vittime hanno maggiori probabilità di soffrire durante l’età adulta.
Come si può intervenire?
Per contrastare il bullismo, un primo ruolo chiave può essere quello svolto dalla famiglia e dagli educatori in generale:
- allenare le abilità sociali e relazionali, i comportamenti prosociali (per esempio empatia e cooperazione ma anche assertività, gestione dei conflitti e delle paure relazionali);
- permettere ai bambini di sviluppare fiducia nelle proprie capacità, rinforzando le loro qualità e aiutandoli ad accettare le loro fragilità e insicurezze come fatti normali e non diminutivi;
- condividere con i bambini in famiglia un sistema di valori basato sull’ascolto, sul rispetto dell’altro e sulla valorizzazione delle differenze.
Gli studi in ambito d’intervento contro il bullismo sottolineano poi l’importanza e l’utilità dei progetti di prevenzione a supporto di quei bambini che già alla scuola dell’infanzia sono a rischio di isolamento e vittimizzazione.
Appaiono cosi particolarmente efficaci tutti quegli interventi che mirano al potenziamento delle abilità socio-affettive e al rafforzamento di reti amicali flessibili e plurime.
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