Intervenire in caso di aneurisma dell’aorta addominale: la scelta si pone tra la tecnica chirurgica tradizionale e il meno invasivo intervento endovascolare. Scelta che deve essere sempre effettuata dopo un’attenta valutazione da parte dello specialista, perché la tecnica endovascolare non può essere sempre applicata e non è, come spesso si sente dire, del tutto priva di rischi. Vediamo quali sono le differenze tra le due metodiche: ne parliamo con la dott.ssa Mariagrazia Bordoni, responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Vascolare II di Humanitas.
Che cos’è l’Aneurisma dell’Aorta Addominale?
“L’aneurisma è una dilatazione permanente di un vaso, nel nostro caso l’aorta addominale. Di questo tratto dell’aorta, la parte che più frequentemente si dilata e va incontro alla formazione di un aneurisma è quella sottorenale, una zona abbastanza agevole per il trattamento, poiché da qui non originano vasi importanti.
Le cause che possono determinare un aneurisma sono essenzialmente legate all’aterosclerosi, patologia che comporta un’alterazione strutturale della parete arteriosa stessa, che perde la sua elasticità e quindi la capacità di mantenersi indeformabile sotto gli stimoli della pressione. A ogni spinta pressoria, dunque, l’aorta si dilata, innescando un processo irreversibile: l’evoluzione naturale di un aneurisma è quella di andare incontro a una dilatazione progressiva, fino ad arrivare alla rottura.
La rottura rappresenta in genere un’evenienza drammatica. Può avvenire con una iniziale fissurazione, cioè una piccola lacerazione incompleta della parete aortica, con formazione di un ematoma che si può tamponare temporaneamente, ma che comunque può sfociare in una rottura vera e propria; altre volte può manifestarsi fin dall’esordio con una rottura dell’aorta in addome, che causa un’emorragia frequentemente mortale (circa il 50% dei pazienti muore prima di arrivare in ospedale). Un’alta percentuale di coloro che sono sottoposti a un intervento chirurgico d’urgenza per la rottura di un aneurisma addominale va incontro a complicanze anche severe. Per questo è importante diagnosticare precocemente un aneurisma dell’aorta addominale, per poter intervenire prima della fase acuta della malattia, cioè della rottura”.
Come si effettua la diagnosi?
“Come gran parte delle malattie vascolari, in genere l’aneurisma addominale aortico non ha una specifica sintomatologia. Finché si mantiene entro diametri contenuti e non ci sono segni di fissurazione della parete, l’aneurisma può essere anche totalmente asintomatico. A volte si accompagna a dolori dorso-lombari o addominali, non distinguibili però da dolori in queste sedi legati ad altre problematiche.
Data la sua peculiare asintomaticità, è allora importante considerare altri fattori che possono far pensare alla presenza di un aneurisma. Innanzitutto l’esistenza nella propria storia personale e familiare di elementi che possano rendere possibile la malattia aterosclerotica. Quindi i fumatori, gli ipertesi, coloro che hanno avuto un infarto del miocardio o problemi di ordine vascolare in altri distretti (come stenosi delle carotidi o disturbi agli arti inferiori) a partire dai 45-50 anni di età devono sottoporsi a uno screening per valutare l’eventuale presenza di un aneurisma.
Gli esami che possono essere utilizzati per la diagnosi sono molto semplici e non invasivi: l’ecografia addominale e l’ecocolor-doppler arterioso addominale. Entrambe le metodiche consentono di rilevare la dilatazione dell’aorta, di localizzare esattamente la sede dell’aneurisma e di misurare i diametri dell’aorta. Nel caso di riscontro di un aneurisma, l’esame necessario per confermare la diagnosi, per avere una misurazione più precisa del diametro e per studiarne la forma è la Tac con mezzo di contrasto. Questi esami forniscono tutti i dati necessari per impostare il trattamento: un intervento chirurgico tradizionale o un trattamento endovascolare, metodica recente e meno invasiva. La scelta tra le due procedure deve essere attentamente valutata dallo specialista. Le due metodiche infatti non sono sovrapponibili e non sono utilizzabili alternativamente per tutti i pazienti”.
In che cosa consiste l’intervento chirurgico tradizionale?
“Il trattamento chirurgico tradizionale vanta svariati decenni di esperienza e si basa su una tecnica standardizzata e condivisa. I rischi correlati a questo tipo di intervento sono piuttosto bassi e il risultato a distanza, anche di qualche decennio, è noto e positivo.
Questo tipo di intervento prevede un’ampia esposizione dell’addome, quindi una grande incisione che parte sotto lo sterno e finisce sopra il pube, perché l’aorta si trova nella parte posteriore dell’addome, appoggiata alla colonna vertebrale. L’aorta viene clampata, cioè chiusa utilizzando delle pinze specifiche, e aperta; viene poi posizionata e suturata una protesi di materiale sintetico per sostituire la parte dilatata. La degenza dura circa una settimana ed è necessario ricorrere per almeno 3-4 giorni alla nutrizione attraverso flebo, finché l’intestino ha ripreso la sua motilità. Il paziente riprende la sua forma fisica completa nel giro di qualche settimana di convalescenza.
Dopo l’intervento sono necessari controlli a distanza, eseguibili con ecografia ed ecocolor-doppler”.
E l’intervento endovascolare invece?
“E’ una tecnica introdotta nei primi anni Novanta. Utilizza strumenti tecnologicamente sempre più avanzati e ancora in fase di evoluzione. Gli studi sui risultati a medio e lungo termine sono ancora incompleti e quindi non sono in grado di fornire conclusioni definitive sul risultato della tecnica endovascolare.
In questo tipo di intervento si utilizzano due accessi, le arterie femorali, attraverso le quali si entra con dei cateteri, ancora piuttosto grossi. Con un apparecchio a raggi X si controlla l’ingresso dei cateteri, che vengono fatti risalire fino alla sede dell’aneurisma, dove viene aperta la protesi endovascolare, dotata di uno scheletro metallico, che si aggancia all’aorta. Possibili complicanze sono legate ad esempio a eventuali spostamenti della protesi nelle manovre di posizionamento e alla lacerazione delle arterie iliache o femorali nel corso dell’introduzione del catetere.
Il paziente si alimenta normalmente già dal giorno successivo all’intervento, la degenza e la convalescenza sono più rapide che nell’intervento tradizionale. Esistono però importanti controindicazioni al trattamento dell’aneurisma aortico addominale per via endovascolare: ad esempio se dalle arterie femorali non è possibile risalire con i cateteri oppure se non si è in presenza di un buon colletto (la parte più alta dell’aorta, ancora sana, vicino alle arterie renali), di una certa lunghezza, rettilineo e non ammalato, condizione che impedisce il posizionamento dell’endoprotesi e la sua solidità di tenuta.
I controlli successivi all’intervento sono costituiti da indagini con Tac molto ravvicinate nel tempo, poiché la deformabilità delle endoprotesi, la possibilità della loro rottura o altre anomalie tecniche sono evenienze possibili e rappresentano un’importante complicanza di questo tipo di trattamento”.
A cura di Elena Villa
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