Quando si parla di anestesia non si intende semplicemente l’assistenza che viene data al malato nel periodo che precede un’operazione, ma avere una visione e approccio globale e multidisciplinare in cui la ricerca va a braccetto con la clinica, la teoria e la pratica, uniti per risultati sempre migliori.
“C’è stata un’evoluzione per quanto riguarda le anestesie e più in generale la terapia intensiva”, ha spiegato il professor Maurizio Cecconi, Direttore del Dipartimento Anestesia e Terapie Intensive in Humanitas, docente di Humanitas University, recentemente eletto Presidente per il biennio 2020-2021 della European Society of Intensive Care Medicine (ESICM), la Società Europea di Terapia Intensiva. “Abbiamo capito che non è importante solo quello che facciamo durante l’operazione, è un approccio ‘olistico’ quello che abbiamo verso il malato ed è multidisciplinare, coinvolge chirurghi, infermieri, medici di base, fisioterapisti e tutto il personale coinvolto per cercare di preparare i pazienti al meglio”, ha aggiunto l’anestesista durante un’intervista a Tv2000.
“La mia visione di medicina unisce la clinica alla ricerca, con grandi potenzialità: chi si impegna nella ricerca arriva anche a risultati clinici migliori”, ha spiegato ancora il professor Cecconi. “In particolare, nell’ambito dell’anestesia, la ricerca dovrà focalizzare gli sforzi sull’identificazione più precisa dei malati a rischio per individualizzare i percorsi perioperatori, sia per i casi di routine e a maggior ragione per quelli più critici; l’anestesista, accanto al successo tecnico dell’intervento, avrà anche lo sguardo e l’attenzione sull’importanza del recupero successivo della qualità di vita del paziente”.
Protocolli personalizzati, a misura dei pazienti
Il lavoro e il confronto tra dell’anestesia e il paziente inizia molto prima dell’operazione, che attraverso l’aiuto di un team multidisciplinare prepara il malato, cercando di modificare alcune sue abitudini di vita che potrebbero comportare fattori di rischio.
“L’obiettivo delle mie ricerche – ha detto Cecconi – è arrivare a protocolli di cura specifici e mirati per il paziente critico e il malato ad alto rischio chirurgico, cioè raggiungere per ciascuno di questi pazienti un equilibrio, una stabilità dei parametri come la pressione del sangue, il trasporto dell’ossigeno ai tessuti, la funzionalità del cuore sia durante sia dopo l’intervento. Arrivare a questa stabilità riduce il rischio e le complicanze post operatorie e la degenza, da cui ne consegue sia un miglioramento della qualità dei ricoveri sia un’efficienza maggiore degli ospedali stessi”.
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