Si chiama seno tuberoso (o stenotico) ed è un’anomalia mammaria sempre più comune; è una malformazione evolutiva che colpisce il seno nella fase del suo sviluppo, a partire dalla pubertà. Le ragazze che ne soffrono presentano mammelle strette e allungate, cadenti, fin dalla giovanissima età.
L’unico modo per correggere queste anomalie è la chirurgia plastica. Ne parliamo con il professor Marco Klinger, Responsabile di Chirurgia plastica in Humanitas, e grande esperto di questo tipo di anomalie.
Gli studi del professor Klinger
Il prof. Klinger è infatti l’autore di due studi di riferimento sul tema: “The Prevalence of Tuberous/Constricted Breast Deformity in Population and in Breast Augmentation and Reduction Mammaplasty Patients”, pubblicato sulla rivista Aesthetic Plastic Surgery nell’agosto 2016 e “Stenotic Breast Malformation and Its Reconstructive Surgical Correction: A New Concept From Minor Deformity to Tuberous Breast”, pubblicato sulla stessa rivista nell’aprile 2017.
Il primo è uno studio epidemiologico sull’incidenza del seno stenotico nella popolazione, dal quale emerge come vi sia un’elevata prevalenza di donne con seno stenotico nelle pazienti che chiedono un intervento correttivo mammario, molte delle quali però non erano a conoscenza della causa alla base della forma atipica del proprio seno. Si parla di 604 donne con malformazioni del seno su un totale di 1.600 donne visitate dal 2009 al 2014. Un dato di cui è importante tenere conto nel programmare un intervento correttivo in queste pazienti, proprio alla luce delle loro particolari caratteristiche.
Il secondo articolo invece nasce dalle riflessioni del lavoro precedente e ha portato alla definizione di linee guida che prevedono per ogni tipo di mammella le manovre chirurgiche idonee per la loro correzione. È solo mediante un corretto inquadramento diagnostico infatti, e con le giuste conoscenze tecniche, che si può progettare l’intervento appropriato per ogni paziente, così da ottenere una correzione chirurgica che garantisca risultati naturali e stabili.
Quali sono le cause del seno tuberoso?
“La ghiandola mammaria si sviluppa in maniera anomala e risulta concentrata nella zona posta dietro l’areola, presentandosi strozzata nella parte inferiore, stenotica appunto, e pendendo in maniera innaturale verso il basso.
Non sono ancora del tutto chiarite le cause alla base di questa anomalia e della loro sempre maggior incidenza, sembra possano giocare un ruolo gli inquinanti ambientali e gli ormoni assunti tramite l’alimentazione.
Fa eccezione la sindrome di Poland, una rara anomalia che si caratterizza per l’assenza o per la ridotta presenza di una mammella, in cui a volte manca anche muscolo pettorale. Si pensa che la sindrome di Poland possa aver origine in un’anomalia della vascolarizzazione embrionale, che determina insufficienza di afflusso nella zona pettorale e conseguenti malformazioni”, sottolinea il prof. Klinger.
Come avviene l’intervento?
“L’intervento prevede il rimodellamento della ghiandola mammaria; viene condotto in anestesia generale e pertanto la donna che vi si sottopone non avverte alcun dolore. Il rimodellamento avviene con raffinate tecniche chirurgiche, che nella stragrande maggioranza dei casi prevedono l’impiego di grasso autologo, cioè della paziente stessa (il lipofilling, con prelievo di pochi cc di grasso dall’addome o dai fianchi) e a volte l’impianto di protesi di silicone, sempre con lo scopo di conferire alla mammella la forma corretta, tondeggiante.
La scelta del tipo di trattamento viene calibrata sulla singola paziente, in maniera completamente personalizzata e tenendo conto delle caratteristiche delle mammelle, delle esigenze della paziente e della sua età.
Se ben condotto, l’intervento lascia solo una cicatrice poco visibile intorno all’areola e richiede il ricovero in ospedale per una sola notte. I punti sono riassorbibili e dunque non necessitano di essere tolti dal chirurgo. Nei casi più gravi e a seconda delle disposizioni regionali, l’intervento è a carico del Sistema Sanitario Nazionale e dunque non è oneroso per la paziente”, conclude il professor Klinger.
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