Un importante studio sull’ipertensione appena pubblicato dalla rivista medica statunitense JAMA e battezzato ALLHAT afferma che il miglior farmaco per abbassare la pressione è il diuretico. La scoperta, frutto di una ricerca che ha messo tra loro a confronto gli effetti di varie categorie di antipertensivi, è stata riportata ampiamente anche sui giornali e sulle televisioni. La ragione è semplice: i diuretici sono i farmaci anti pressione alta più vecchi che esistono, mentre gli altri, ovvero i cosiddetti ACE inibitori e i calcio antagonisti, sono molto più nuovi e con meccanismi d’azione in teoria più raffinati. Eppure, se confrontati tra loro e su ben 43.000 persone ipertese, sono i vecchi diuretici a risultare i più utili.
Più economici e più efficaci contro l’insufficienza cardiaca
C’è anche un altro aspetto da non sottovalutare: i diuretici sono anche i meno cari e, in tempi di necessari tagli alla spesa farmaceutica, si tratta di un dato importante. Eppure i farmaci più prescritti agli ipertesi italiani (e in verità a quelli di quasi tutto il mondo) sono gli ACE inibitori. Vale quindi la pena capire che cosa potrebbe cambiare nella vita di molte persone alla luce di queste scoperte.
“Cambierà moltissimo – spiega Claude Lefant, uno dei coordinatori dello studio – Ora si sa con certezza quale farmaco è il più adatto a curare milioni di persone. Non solo: i diuretici si sono dimostrati anche la medicina migliore per evitare una delle più temute conseguenze della pressione alta, ovvero l’insufficienza cardiaca. E’ ora che i medici ne prendano atto e cambino le loro prescrizioni ai malati con la pressione alta”.
Ora si dovranno analizzare anche i sottogruppi
Non tutti però sono così convinti. Lo studio, infatti, così come accade con la maggior parte delle scoperte della medicina, ha alcuni punti di forza, tra cui quello di aver effettuato la sperimentazione su un grandissimo numero di malati e quello di aver confrontato tra loro i diversi prodotti disponibili, invece di limitarsi a verificarne l’utilità nei confronti di un farmaco finto così come si fa di solito (ovvero il cosiddetto studio contro placebo). Ma ha anche alcuni punti deboli, o per lo meno alcuni elementi che vanno considerati con maggiore attenzione. “Quando si fanno studi su così tante persone si tende a scegliere malati con caratteristiche molto semplici, che non hanno altre malattie concomitanti o che non sono considerati a rischio elevato – spiega il dott. Edoardo Gronda, direttore del Centro Terapia dello scompenso cardiaco di Humanitas – Per essere sicuri dei risultati dell’ALLHAT, cioè prima di cambiare la cura a tutti i malati, bisogna analizzare i cosiddetti sottogruppi, ovvero vedere come si comportano le diverse molecole nelle persone che, oltre alla pressione alta, hanno anche il diabete, sono obese oppure hanno già avuto malattie cardiovascolari anche gravi come un infarto. E’ probabile che, in questi casi, altre sostanze come gli ACE inibitori abbiano effetti aggiuntivi che le rendono più adatte a curare i malati complicati e a mantenerli in buona salute”.
I più tollerati
Molti medici hanno anche fatto notare che i diuretici sono farmaci poco amati dai pazienti, soprattutto da quelli più anziani, perché obbligano a recarsi spesso in bagno, anche di notte, e interferiscono quindi col riposo. “Alla dose con cui vengono prescritti in questo studio, l’effetto diuretico non è molto marcato – precisa il dott. Gronda – ciò vuol dire che in generale non dovrebbero dare fastidio”. Non a caso nello studio ALLHAT sono risultati, un po’ a sorpresa, i farmaci più tollerati dai pazienti e i più semplici da prendere.
Il medico deve scegliere il farmaco migliore
Difficilmente, però, un iperteso potrà tenere sotto controllo la pressione con un solo farmaco, e questo lo ammettono anche i ricercatori americani. “La verità è che studi come questo sono molto importanti per chiarire il quadro d’insieme, ma poi bisogna analizzare ogni paziente a se’ stante – conclude il dott. Gronda – L’ipertensione è una malattia multifattoriale, cioè con diverse origini, talvolta compresenti nella stessa persona. Il curante deve quindi trovare il farmaco migliore per quella singola persona e non solo per un modello ipotetico di iperteso che nella realtà difficilmente esiste”.
Febbraio 2003 – A cura di Marcella Picciotto
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