Che cos’è l’atrofia vulvovaginale?
L’atrofia vulvovaginale, che fa parte di quel corteo di disturbi definiti sindrome genito-urinaria, è legata ad un assottigliamento dei tessuti genitali e delle mucose vaginali, che perdono elasticità e resistenza, dovuta al calo degli steroidi sessuali.
Vulva e vagina sono caratterizzate dalla presenza di numerosi recettori per gli ormoni sessuali (estrogeni e androgeni): in particolare, se c’è un calo degli estrogeni avvengono diverse modifiche nell’aspetto e nella funzione. A livello della vulva si può assistere ad un progressivo diradamento dei peli pubici, accompagnato da un assottigliamento della cute e del sottocute con riduzione delle piccole e grandi labbra. A livello della mucosa vaginale cessa la produzione di glicogeno, che costituisce il nutrimento della flora batterica vaginale; ne deriva un aumento del pH vaginale che può portare a un aumento di episodi infiammatori ed infezioni.
La mucosa vaginale, dunque, quando i livelli di estrogeni sono insufficienti si assottiglia, riduce le secrezioni, anche a causa di una riduzione del flusso sanguigno e diminuisce in elasticità.
A causa della comune derivazione embriogenetica anche l’epitelio vescico-uretrale può subire queste modifiche e dare sintomi simil-cistite.
Quali sono le cause dell’atrofia vulvovaginale?
In post menopausa, venendo meno la produzione degli estrogeni da parte delle ovaie, tutto l’apparato genito urinario va incontro a processi distrofico – atrofici che si accentuano con il passare degli anni. L’atrofia vaginale ha una prevalenza del 65% dopo un anno dalla menopausa per arrivare a valori del 90% dopo 20 anni dalla menopausa. Altre condizioni che possono comportare la riduzione di estrogeni sono l’allattamento e l’utilizzo di contraccettivi ormonali a basso dosaggio.
Quali sono i sintomi dell’atrofia vulvovaginale?
Uno dei principali sintomi dell’atrofia vulvovaginale è il dolore alla penetrazione (dispareunia), che inficia l’attività sessuale e a cui si associa un calo del desiderio provocato anche dal contemporaneo calo del testosterone nelle donne postmenopausa.
Oltre a comportare delle difficoltà nell’attività sessuale, l’atrofia vulvovaginale può comportare anche fastidi quali secchezza vaginale, bruciore e prurito vaginale che possono interferire con le normali attività quotidiane.
Atrofia vulvovaginale: come si fa la diagnosi
L’atrofia vulvovaginale viene diagnosticata dallo specialista ginecologo durante la visita ginecologica.
Non esistono criteri univoci per la diagnosi. Un valore di pH vaginale >5 associato a segni oggettivi di modificazioni vaginali e sintomi di disturbi vaginali sono caratteri stringenti per la diagnosi. Tuttavia, la sensazione di secchezza vaginale riferita dalla donna è il parametro più importante.
La diagnosi è spesso tardiva. La donna raramente parla del problema che spesso è attribuito ai fenomeni dell’invecchiamento, piuttosto che alla menopausa. È quindi un preciso compito del medico investigare in maniera attiva sui sintomi.
Come trattare l’atrofia vulvovaginale
L’atrofia vulvovaginale si può trattare in diversi modi. In base alle condizioni cliniche della paziente, lo specialista valuterà la terapia più adeguata.
I lubrificanti possono essere utili al bisogno durante i rapporti sessuali. Benefici si possono ottenere con l’utilizzo costante di gel idratanti a base di acido ialuronico che migliorano lo stato dell’epitelio vaginale.
La terapia di scelta è rappresentata dagli estrogeni locali, che possono essere somministrati in vario modo (ovuli, gel, creme) e non vengono assorbiti a livello sistemico.
In alcuni casi può essere indicata la terapia ormonale sostitutiva sistemica o l’ospemifene, che è un modulatore dei recettori degli estrogeni che agisce particolarmente a livello della mucosa vulvo-vaginale.
Tra le nuove tecnologie, laser vaginale e radiofrequenza sono utili per riportare la mucosa vaginale alle condizioni precedenti alla menopausa attraverso stimoli fisici.
È importante ricordare che l’atrofia ricompare all’interruzione del trattamento ed è quindi importante scegliere insieme la terapia più adatta, eventualmente anche alternando le varie opzioni, per mantenerne l’efficacia.