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Malattia di Crohn o sindrome dell’intestino irritabile?

Inizialmente conosciuta come “morbo di Crohn”, quella che oggi chiamiamo più correttamente malattia di Crohn, per evidenziare come non si tratti di una patologia contagiosa, insorge tipicamente in individui che hanno, per predisposizione genetica, una risposta immunitaria abnorme nei confronti dei batteri presenti all’interno dell’intestino. “Questo processo porta alla generazione di ulcere, che conducono a loro volta alla comparsa di una sintomatologia specifica. La diagnosi della malattia di Crohn, per questo motivo, non può mai essere precoce da un punto di vista biologico, perché avviene quando il paziente presenta già questa sintomatologia dovuta a un danno intestinale già in atto”, spiega il professor Alessandro Armuzzi, Responsabile dell’Unità di Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali di Humanitas, intervistato da Radio Number One.

Malattia di Crohn o intestino irritabile: quali sono i sintomi?

“La malattia di Crohn presenta alcuni sintomi simili alla sindrome del colon irritabile, che però non è causata da un processo infiammatorio franco. Per questo motivo è importante fare sempre riferimento al proprio medico di medicina generale, o rivolgersi ai centri di riferimento in grado di mettere in atto una serie di procedure diagnostiche utili a distinguere tra le due patologie.

Nella malattia di Crohn in particolare possono manifestarsi sintomi come febbricola o diarrea notturna, tipici delle malattie infiammatorie, che invece sono assenti nella sindrome del colon irritabile. In caso di sospetta malattia di Crohn, lo specialista prescriverà alcuni esami diagnostici come quelli del sangue, delle feci e gli esami strumentali, tra cui la colonscopia. Prima di alcuni esami è necessario effettuare delle purghe per preparare il colon a essere visualizzato correttamente, ma oggi ne esistono svariate a basso volume, per cui basta un litro di soluzione per ottenere l’effetto desiderato”, continua il professore. 

Le terapie per la malattia di Crohn

“Una volta caratterizzata la malattia bisogna iniziare tempestivamente i trattamenti, altrimenti con la progressione della patologia si rischia di sviluppare un danno intestinale risolvibile solamente per via chirurgica

I trattamenti più efficaci sono quelli di ultima generazione, che prevedono l’uso dei farmaci biologici. Si tratta di anticorpi monoclonali che vengono somministrati tramite iniezioni sottocutanee o infusioni endovenose e permettono di andare a neutralizzare in maniera mirata le sostanze prodotte dall’infiammazione. Se queste terapie hanno successo, il paziente può tornare ad avere una vita perfettamente normale pur mantenendo la cura nel tempo”, conclude il professor Armuzzi.

L’articolo è tratto da un’intervista del professor Alessandro Armuzzi a Radio Number One del 23 marzo 2022. Per rivedere l’intervista, clicca qui.

Specialista in Gastroenterologia

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